gradimento eccezionale
Intervista a Rampelli: “L’eredità politica di Berlusconi già raccolta da Meloni”
Da quando è sceso in campo, nell’agone politico, Silvio Berlusconi è stato perseguitato dalla magistratura, oltre che vittima all’epoca di un accerchiamento mediatico. Ne è convinto il vicepresidente della Camera dei deputati ed esponente di Fratelli d’Italia, Fabio Rampelli, che in questa intervista si sofferma sulle prospettive future del centrodestra e di Forza Italia, alla luce della scomparsa del Cavaliere, su Giorgia Meloni che ha già raccolto l’eredità lasciata dall’ex premier, e sugli interventi che ridisegnano la giustizia italiana licenziati due giorni fa dal Consiglio dei ministri.
Onorevole Rampelli, come vede il fatto che storici avversari politici di Silvio Berlusconi, come ad esempio l’ex presidente del Consiglio, Massimo D’Alema, hanno riconosciuto che forse il Cavaliere aveva ragione a ritenersi perseguitato dai giudici?
«Berlusconi è stato perseguitato, ormai non ci sono più dubbi. La quantità di inchieste scattate solo dopo il suo impegno politico è il segno che un pezzo del nostro sistema giudiziario era marcio. Le indagini, ove necessarie, si fanno a prescindere dal ruolo pubblico che ricopri e dalla parte politica che rappresenti. Ma a queste va affiancato l’accerchiamento mediatico: in questi giorni si sono viste interviste televisive dell’epoca che erano interrogatori, con condanne già espresse. Una vergogna».
Quale sarà il futuro della coalizione di centrodestra senza una figura come quella di Silvio Berlusconi?
«Abbiamo il dovere di continuare a fare tutto ciò che sarà utile all’Italia, come se fosse ancora in vita. Averlo frequentato in questi lunghi anni ci consente, su alcune materie, di azionare il pilota automatico».
Prevede che in futuro ci sia un ridimensionamento di Forza Italia, con delle fuoriuscite dal partito?
«Mi auguro di no, abbiamo bisogno di una forza centrale agganciata in Europa al Partito popolare, con il compito di trasferire a Bruxelles il modello italiano che prevede la democrazia dell’alternanza, cioè la destra e il centro che sono alleati in una posizione opposta al centrosinistra».
La leader di Fratelli d’Italia e presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, potrebbe raccogliere l’eredità di Silvio Berlusconi?
«Direi che l’ha già raccolta per giudizio inappellabile dei cittadini italiani che le hanno tributato un consenso straordinario, e le hanno fatto raggiungere un indice di gradimento eccezionale. L’entusiasmo che c’è intorno a lei somiglia molto a quello che seppe sollevare Berlusconi».
La riforma della giustizia del governo guidato da Giorgia Meloni ha cominciato, l’altro ieri, a muovere i suoi primi passi, con il disegno di legge, presentato dal Guardasigilli, Carlo Nordio, e approvato dal Consiglio dei ministri. Sarà possibile completarla del tutto, tale riforma, con il via libera alla separazione delle carriere, che rappresenta una storica battaglia del centro destra?
«Nel disegno di legge presentato dal governo, che ha deciso la strada del confronto con il Parlamento, la separazione delle carriere non è presente: la riforma della giustizia italiana si compone di varie tappe e questa è comunque presente nel programma elettorale del centrodestra, e sarà nostra cura concretizzarla».
Che cosa ne pensa della cancellazione del reato di abuso d’ufficio, proposta sempre dal ministro della Giustizia, Nordio, visto che Fratelli d’Italia non è mai stata proprio a favore di tale misura?
«Esistono già molti strumenti per garantire le buone procedure. Il reato di abuso d’ufficio ha di fatto inibito la burocrazia amministrativa, rallentato ancora di più i meccanismi decisionali, creato incertezze. È sempre più difficile in Comuni e Regioni trovare dirigenti che si prendano la responsabilità di una firma, e con il Piano nazionale di ripresa e resilienza in corso e la scadenza per il 2026 imposta dall’Unione europea, è fondamentale accelerare ogni decisione. Va rimarcato il fatto che a fronte di quasi cinquemila processi avviati con questo capo d’imputazione, ci sono state circa 60 sentenze di condanne, comprensive dei patteggiamenti. Molti amministratori del Partito democratico invocano questo provvedimento, perché la situazione è fuori controllo».