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Schlein resta sulle barricate, strumentalizza il 2 giugno e fa visita alla partigiana

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È un appello, e non è neanche il primo, all’unità tra le forze politiche, quello lanciato ieri da Giorgia Meloni, in una data simbolica come il 2 giugno. «Non è una semplice celebrazione museale. È la dimensione del fatto che o noi capiamo che, se ci sia difficoltà o che le cose vadano bene, ne usciamo solo insieme, serve che ciascuno faccia la sua parte.

Non c’è nessuno che da solo può risolvere i problemi. Capire che siamo tutti legati è l’elemento culturale che serve per capire che dobbiamo remare tutti verso la stessa direzione», le parole consegnate dal presidente del Consiglio ai giornalisti, a margine delle celebrazioni per la Festa della Repubblica. Un invito rispetto al quale, finora, non è arrivato alcun tipo di risposta da parte delle minoranze, a cominciare da Elly Schlein, che ieri è andata a trovare la partigiana Iole Mancini, 103 anni, sopravvissuta alla prigione nazista di via Tasso, in cui fu detenuta e interrogata da Priebke. «Ecco chi ha fatto la nostra Repubblica, nel coraggio di una scelta di resistenza che ha avuto costi personali altissimi. A noi il compito di prendere il testimone e coltivare e proiettare al futuro i principi e valori di libertà, democrazia e giustizia che l’hanno fondata. Buona festa della Repubblica a tutte e tutti!», ha scritto su Facebook la segretaria del Partito democratico, la cui parola d’ordine, da quando ha assunto la guida dei dem, è stata una sola: «no».

 

Un rifiuto al dialogo con palazzo Chigi che si è manifestato, ad esempio, tre settimane fa, in occasione degli incontri, tenutesi nella Biblioteca del presidente, a Montecitorio, del premier, insieme ad una delegazione di componenti dell’esecutivo, con le opposizioni, sul tema delle riforme istituzionali. In quell’occasione, la leader del Pd non solo aveva sottolineato come la questione non fosse una priorità per il Paese, ma aveva tirato fuori tutta una serie di paletti tali da rendere quanto meno complicato l’avvio di un negoziato. «Non siamo per ridimensionare il ruolo del presidente della Repubblica verso un modello di un uomo o una donna sola al comando», aveva affermato all’epoca l’ex vicepresidente della regione Emilia-Romagna, contraria anche all’ipotesi del premierato, o sindaco d’Italia che dir si voglia. Un secco altolà era arrivato pure in occasione, lo scorso primo maggio, del varo da parte del Consiglio dei ministri del cosiddetto decreto legge Lavoro.

 

Un provvedimento «precarietà» e «ricattabilità», «una provocazione», secondo quanto sostenuto da Schlein. Una sonora bocciatura per un testo che introduce, eccome, misure a favore dei lavoratori, come un ulteriore taglio di quattro punti percentuali del cuneo fiscale, a vantaggio dei redditi più bassi. C’è, poi, la posizione intransigente della segretaria del Partito democratico a favore della maternità surrogata: una linea politica che sta generando le prime crepe, tanto che i riformisti del Pd hanno dato vita ad una petizione online per esprimere la loro contrarietà alla Gestazione per altri. Infine, il sostegno all’Ucraina, su cui il premier non ha mai tentennato, mentre la votazione dell’altro ieri del Parlamento europeo sul rafforzamento della capacità produttiva dell’Ue di munizioni e missili, per consentire la loro consegna tempestiva a Kiev, ha certificato la spaccatura in tre del Partito democratico, tra favorevoli al provvedimento, astenuti ed un voto contrario.

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