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Maltempo Emilia-Romagna, proposta del sindaco Biondi: “Modello L'Aquila per l'alluvione”

Mario Benedetto
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Le calamità in Emilia Romagna richiamano l’attenzione sulla solidarietà e sulle esigenze della ricostruzione, che coinvolge centro e periferia della «macchina dello Stato». Ne ha parlato in un confronto con Il Tempo Pierluigi Biondi, sindaco de L’Aquila e responsabile dipartimento enti locali di Fratelli d’Italia.

Sindaco, rispetto agli eventi dell’Emilia-Romagna il presidente della regione Bonaccini ha parlato di danni equiparabili a quelli dei terremoti. Dal punto di vista del «modello L’Aquila» quali le azioni prioritarie da intraprendere?
«Le azioni su cui ci concentrammo all’Aquila all’indomani del sisma furono orientate a dare subito un tetto agli sfollati, scongiurare lo spopolamento, sostenere l’economia. Davanti a emergenze di queste proporzioni, priorità come queste sono comuni a territori diversi e prescindono dalla loro natura. Una volta affrontata la prima emergenza, occorre avviare subito la ricostruzione, a partire dalle abitazioni ma senza mai trascurare il tessuto produttivo e sociale che non rappresenta solo il sostentamento della comunità, ma anche il motivo per restare. A questo proposito, combattere lo spopolamento significa anche non far mai venire meno servizi essenziali come l’istruzione, la formazione e la sanità».

 



Come possono e devono collaborare centro e periferia, ovvero Governo e Regione?
«Il dialogo interistituzionale è essenziale e da noi non è mai mancato. In alcuni momenti siamo stati costretti ad usare particolare fermezza - fino a manifestare in piazza o ad attuare lo sciopero della fame come nel mio caso, da sindaco di un piccolo comune quale ero all’epoca- nei confronti dei governi che si sono succeduti, ma alla fine siamo sempre stati in grado di far valere le nostre ragioni. Sono cambiate le stagioni politiche, ma anche grazie a quelle battaglie abbiamo costruito un’architettura istituzionale solida che sopravvive ai governi e oggi è un’autentica buona pratica da replicare e che viene presa da esempio. In questo credo che le parole della presidente Meloni, quanto quelle del presidente Bonaccini, siano indicative di un reciproco rispetto che, davanti alle tragedie, deve prevalere rispetto ai partiti di appartenenza».

Quali le risorse economiche da impiegare e in che termini utilizzarle al meglio?
«Ogni volta che ci troviamo costretti a fare i conti con un’emergenza, il tema più spinoso è proprio quello dei fondi necessari ad affrontarla. Credo che lo Stato abbia le possibilità di dare risposte senza dover attingere alle risorse del Pnrr, del quale dovremmo fare un uso più coscienzioso. Il problema vero è che - come dice l’Ispra - in vent’anni il nostro paese è stato in grado di realizzare solo la metà dei progetti finanziati per la riduzione del rischio idrogeologico. Si sono alternati 12 governi, forse troppi e forse è proprio questo il tema».

 



Ci sono riforme utili al funzionamento della «macchina dello Stato» dal centro alle amministrazioni locali?
«Come nel ‘93, quando fu approvata la legge sull’elezione diretta dei sindaci che, finalmente, garantì stabilità a tutti i livelli periferici di governo, oggi la Nazione ha bisogno di alcune riforme strutturali che le consentano capacità veloce di azione e soluzione, anche nel caso delle calamità naturali. Come quella principe sul sistema elettorale. Semipresidenzialismo o premierato, purché si conquisti un equilibrio che permetta di lavorare, con il pieno mandato dei cittadini e non tradendo la volontà delle urne, lasciando spazio alle maggioranze costruite a tavolino, all’interno delle aule. Solo dal ’93, la Repubblica ha fatto i conti con 19 presidenti del Consiglio, succedutisi in 9 legislature. Questa discrasia ha impedito all’Italia di guadagnare autorevolezza, condannandola alla sfiducia, non solo nelle relazioni internazionali, ma anche con gli stessi italiani. A chi contesta l’emergere di una figura di leader solitario al comando, ricordo che questa sarebbe generata da elezione diretta popolare, espressione della massima sovranità, principio sancito costituzionalmente, e che fu proprio il Parlamento del ‘93 a stabilire che il vertice dell’amministrazione, prima comunale e provinciale, poi regionale, fosse direttamente individuato dagli elettori. Questa riforma, all’interno di una più ampia rivoluzione amministrativa che, in quegli anni, sceglieva di mettere al centro il cittadino e il suo diritto all’informazione, offrì la possibilità di esprimere un giudizio diretto, chiaro e incontrovertibile, che solo il voto avrebbe potuto discutere. È questo orizzonte temporale, la tenuta delle maggioranze, che consente di realizzare una visione e solo questa alla fine può essere apprezzata o meno, nei modi della democrazia». 

 

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