Il Veneto di Zaia ha fatto la prevenzione che Bonaccini ha scordato
C’è chi, in Veneto, lo chiama «Piano Marshall dell’acqua». In queste ore, mentre l’Emilia Romagna fa i conti con i danni del flagello e la cartina dei ritardi sul piano della prevenzione, emerge quello che è stato fatto in Veneto a partire dal 2010, da quando un alluvione si abbatté nelle zone di Padova e Vicenza. Da lì in poi, la giunta di centrodestra guidata dal leghista Luca Zaia ha iniziato un percorso strutturale, con un investimento progressivo che ha raggiunto, nel corso negli anni, 3 miliardi e mezzo di euro. Con la chiave di volta dei «bacini di laminazione», vasche che servono a raccogliere l’acqua in eccedenza dai fiumi, in caso di grandi piogge. Il Corriere.it ha riportato una dichiarazione dell’assessore all’Ambiente e alla protezione civile della Regione: «Finora abbiamo completato 5 bacini, investito 400 milioni in opere di consolidamento, 320 milioni in opere di manutenzione. E siamo solo a metà. Già oggi, però, possiamo dire che c’è stata una svolta importante. Lo testimoniano gli eventi impattanti nel 2018, 2019 e 2020». In particolare nel 2018 ci fu un alluvione importante, con danni notevoli ma comunque di impatto inferiore rispetto a quelli del 2010. Certo, di fronte alla potenza di eventi climatici estremi non è possibile trovare uno scudo che schermi completamente dai danni, ma il percorso Veneto dimostra che possono essere contenuti e molto. E alcune fonti vicine al dossier, che il Tempo ha potuto contattare, spiegano che quest’opera di prevenzione è stata condotta in perfetta sinergia con i sindaci, che erano i primi a voler imprimere una svolta di questo tipo, considerando che il Veneto è una Regione molto ricca di fiumi, torrenti e canali.
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Soltanto con il gioco di squadra a vari livelli amministrativi, infatti, è stato possibile porre in essere un lavoro di prospettiva con degli effetti che nella dimensione comunale non sarebbe mai stato possibile raggiungere. Uno stato di cose che inevitabilmente, constatato con mera osservazione dei fatti e senza alcun velo polemico, si raffronta con quello che è accaduto in Emilia Romagna. Tra il 2015 e il 2022 la Regione, a guida Stefano Bonaccini e Pd, ha ricevuto 190 milioni, risorse che dovevano essere impiegate per mettere a dimora 23 casse. Come riporta ancora Corriere.it ne sono state completate soltanto 12, 2 sono parzialmente in funzione, nove sono ancora da completare e 2 devono essere ancora finanziate. Dunque si torna sempre al tema centrale, ossia la capacità di spesa. Peraltro, nello specifico dell’Emilia Romagna, il tema della destinazione delle risorse era stato anche affrontato da una relazione della Corte dei Conti, che aveva puntato il dito contro la mancata spesa, nei tempi, di quantità di denaro per manutenere alcuni corsi d’acqua. La strada da percorrere, peraltro, è stata indicata anche dai geologi. Il Presidente dell’Ordine delle Marche (regione coinvolta dall’ondata di maltempo, ma con danni molto più ridotti rispetto all’Emilia Romagna), Piero Farabollini, osserva: «Le alluvioni di questi giorni si potrebbero evitare con una corretta manutenzione degli alvei, ma non con gli interventi isolati cui spesso assistiamo, bensì dalla foce alla sorgente. Questo implica un’attenta gestione del territorio montano, che negli ultimi decenni è stato colpevolmente lasciato a sé stesso». Sulla stessa linea anche l’omologo dell’Emilia Romagna, Paride Antolini: «L'Emilia-Romagna rappresenta una fetta molto importante dell'economia italiana a partire dall'industria turistica. Pensare alle aziende e alla tutela dell'economia, significherà anche realizzare tutte le infrastrutture necessarie a tutelare la risorsa acqua al fine di fronteggiare eventuali e futuri periodi di siccità e puntare sempre di più alla manutenzione».