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Canone Rai, M5S senza memoria: "Non si tocca". Ma nel 2019 voleva abolirlo

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Alessio Buzzelli
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«Impatto devastante», «ridimensionamento generale» e, persino, «morte dell’azienda». Queste sono state le parole a dir poco pessimistiche con cui gli esponenti del Movimento 5 Stelle della Commissione Vigilanza Rai hanno commentato la possibilità di una eventuale abolizione del canone televisivo, recentemente paventata, per il momento solo sulla carta, da alcuni partiti della maggioranza, specie dalla Lega di Matteo Salvini.

L’occasione per tali, preoccupate dichiarazioni, l’ha fornita l’audizione delle rappresentanze sindacali andata in scena ieri proprio in Commissione Vigilanza, all’interno della quale i Sindacati avrebbero espresso, pure loro, grande preoccupazione circa l’eventualità per cui il canone dovesse essere cancellato. E, al netto dei toni un tantino apocalittici utilizzati dal Movimento per commentare la vicenda, fin qui non ci sarebbe nulla di strano, con l’opposizione che legittimamente critica le posizioni politiche del Governo sulle quali non è d’accordo.

Il problema, semmai, è che quella della Lega è tutt’altro che una proposta nuova: nell’estate del 2019, ad esempio, ci fu un altro partito, il cui leader non era certo Matteo Salvini, che non si limitò solo a dichiarare l’intenzione di abolire il canone Rai, ma presentò addirittura un disegno di legge ad hoc per cancellarlo. E chi si fece promotore di quel ddl? Proprio il Movimento 5 Stelle, attraverso la proposta di legge N.1983, depositata dalla deputata Maria Laura Paxia e recante l’inequivocabile titolo «Abolizione del canone di abbonamento alle radioaudizioni e alla televisione e della relativa tassa di concessione governativa».

È facile, a volte persino doveroso, non essere d’accordo con il proprio avversario; meno facile è, invece, non esserlo con se stessi, a meno di non cadere in palesi ed evidentissime contraddizioni politiche, come pare stia accadendo su questo tema al M5S. Ieri, per dire, un’esponente del Movimento in commissione di Vigilanza Rai, Dolores Bevilacqua, dopo aver ascoltato i Sindacati, ha dichiarato che «eliminare il canone significherebbe la morte dell’azienda», perché avrebbe un «impatto devastante sulla qualità del servizio, sul pluralismo e in generale sul ruolo stesso della Rai», con tanto di «conseguenze in termini di possibili futuri esuberi» e di «ridimensionamento generale dell’azienda».

Un quadro fosco a dire poco che, però, quattro anni fa non pareva tormentare così tanto i pensieri del Movimento. Anzi: all’epoca, per la deputata Paxia, come dichiarato da lei stessa in un video apparso sul suo profilo Facebook in quei giorni, il canone era nientemeno che «un’odiosa tassa, tanto anacronistica quanto iniqua e socialmente ingiusta», utile per «drogare il bilancio della tv di stato e alimentare gli sprechi a favore delle produzioni esterne».

Niente da obiettare sulle intenzioni, di certo buone (tra le quali c’era anche quella di «aiutare le famiglie italiane», «eliminare il tetto pubblicitario» e «rendere la Rai competitiva nel mercato»), e niente da obiettare nemmeno sul fatto che in politica si possa cambiare idea, perché qui il punto non è essere d’accordo o meno con l’abolizione del canone. Ciò che invece vale la pena rilevare è piuttosto la disinvoltura - unita a una buona dose di memoria politica selettiva, per non dire smemoratezza – con la quale un partito riesca a passare da una posizione ad un’altra, letteralmente opposta, senza battere nemmeno un ciglio argomentativo che possa sostenere un simile ribaltone. Se non quello, poco spendibile, secondo il quale una proposta non vada sostenuta nel merito, ma solo in base alla provenienza politica, a seconda della convenienza del momento. Insomma, perché nel 2019 gli impatti devastanti, il ridimensionamento generale, gli esuberi, la morte dell’azienda non venivano minimamente considerati ed oggi, invece, sì? Sarà pure che, un po’ come la moda, la politica ormai vive anche di oblìo, ma un po’ più di coerenza non guasterebbe di certo, come dimostrano i pessimi risultati elettorali registrati ultimamente da alcuni partiti. 

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