Linea dura

Meloni sposa la linea Sunak sui migranti: nessuna deportazione in Ruanda

A Roma torna il sereno, o quasi, col doppio sì al Def di Camera e Senato. E Giorgia Meloni affronta la seconda giornata della missione a Londra con il sorriso. Tailleur fucsia, compagno e figlia al seguito, ritira prima il premio Grotius tributatole dal centro studi Policy Exchange, poi partecipa al ricevimento nella residenza dell’ambasciatore italiano a Londra. Qui incontra l’establishment politico ed economico del Regno Unito, 400 invitati ad attenderla tra selfie, sorrisi e brindisi. Ma quando i cronisti l’avvicinano per chiederle se la preoccupino i numeri dopo l’incidente di ieri, «insisto - torna a ribadire -: non ci vedo un segnale politico, è stata una svista. Ho fatto tanti anni in Parlamento, può succedere ma non deve accadere più». Va solo studiato il modo, perché la ‘sforbiciata’ al numero dei parlamentari voluta dai grillini complica la vita dei provvedimenti in Parlamento. Ma squadra che vince non si cambia. E di cambiare i sottosegretari per evitare altre sgradevoli sorprese per Meloni proprio non se ne parla: «Non prevedo ipotesi di sostituzioni di doppi incarichi. Credo che il governo stia lavorando bene e non è nelle mie intenzioni adesso rivedere qualcosa. Bisogna però garantire i numeri». 

 

  

 

Numeri che, al netto degli scivoloni, oggi sembrano rassicurarla. I dati del Pil segnano un maxi rimbalzo nel primo trimestre, con una crescita dello 0,5%. «Guardiamo ai fatti», invita i cronisti che le chiedono della preoccupazione dei mercati. E anche sul dossier migranti Meloni non arretra, tutt’altro. L’intesa con Rishi Sunak, famoso per il pugno duro sul tema, è piena, del resto nel Memorandum firmato ieri a Downing Street Italia e Gran Bretagna mettono nero su bianco la richiesta, urgente, di un cambio di passo. Il Financial Times sostiene che gli inglesi spingessero per una formula assai più dura, ma che Roma avrebbe frenato per evitare frizioni con l’Europa. Fatto sta che il premier ribadisce ancora una volta di apprezzare, e tanto, la linea Sunak. Che difende anche sullo spinoso caso del Ruanda, con i migranti irregolari che nel piano di Downing street vanno spediti nel Paese dell’Africa orientale. Tanto che si parla di ‘deportazione’, un termine che Meloni giudica inappropriato e inopportuno.

 

 

«Io non sono d’accordo sul principio di deportazione - dice infatti Meloni - non vi rendete conto della gravità del temine utilizzato. Io non la vedo come una deportazione, ma come un accordo tra Stati liberi nei quali viene garantita la sicurezza delle persone. Credo che parlare di deportazione, o lasciare intendere che il Ruanda sarebbe un Paese che non rispetta i diritti e sarebbe una nazione inadeguata o indegna, credo che questo sì sia un modo di razzista di leggere le cose». E anche sul carcere preventivo per chi entra clandestinamente, ipotesi spinta dal governo inglese e duramente criticata dall’Ue, «non è questione di considerare» gli irregolari dei «criminali, ma sono responsabili di qualcosa di illegale. È illegale attraversare, senza rispettare le regole, i confini di una nazione». Meloni rivendica di aver accarezzato per prima l’ipotesi di hotspot nel Nord Africa. Mandare migranti in Ruanda, come voluto e perseguito da Sunak, «non è una iniziativa che stiamo prevedendo noi - mette comunque in chiaro come riferisce Adnkronos -. Però sicuramente anche nei Paesi africani o in altri Paesi, se si trovano soluzioni per evitare che la congestione avvenga tutta negli stessi luoghi, questo aiuta. Il fatto che sia un Paese terzo non vuol dire», perché «più soluzioni si trovano per alleggerire la pressione e meglio è». L’emergenza immigrazione è sempre viva.