Magistrature speciali, l'elezione di Bonafede fa allontanare sempre di più Pd e M5S
Il Partito democratico sale sulle barricate contro quelle che giudica una «gravissime forzature da parte della maggioranza». Lo fa non partecipando ai voti per l’elezione dei componenti delle magistrature speciali, sul quale i dem rigettano la proposta della maggioranza: tre incarichi alle opposizioni e nove alle forze di governo. Uno schema che stravolge la prassi, spiega la segretaria Pd, che vorrebbe assegnati alle opposizioni quattro componenti degli uffici di presidenza delle magistrature alla minoranza. Da qui la scelta di Elly Schlein e dei parlamentari dem di non partecipare al voto, prima in commissione e, poi, nelle Aule parlamentari.
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A seguire il Pd su questa strada è la sola Alleanza Verdi e Sinistra, mentre il Movimento 5 Stelle vota il ‘pacchetto’ frutto dell’accordo con la maggioranza. Azione e Italia Viva, stando a quanto riferisce un deputato del Terzo Polo, ha scelto di votare scheda bianca: “Tutto mi si può chiedere, tranne che eleggere Alfonso Bonafede«” è il commento a metà fra l’ironico e l’irritato. E i nomi dell’ex ministro di Giustizia e di Carolina Lussana, stando a quanto spiega Adnkronos, avrebbero concorso a portare i dem sulla linea del non voto. “Ci sono, in quel pacchetto, nomi che non ci piacciono”, sottolinea una fonte dem. Di fatto, la scelta del M5S segna un nuovo solco fra Pd e M5s.
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Il dialogo con fra Giuseppe Conte e Schlein non è mai partito veramente: le elezioni europee rimangono il vero banco di prova. “E se Schlein continuerà a ottenere buoni risultati in termini di consenso e, poi, anche di voti, per Conte sarà dura mantenere le briglie del M5s”, osserva un dirigente romano del Pd. Il ragionamento si basa sul presupposto che un Pd che uscisse dalle europee con il 25 per cento - è l’asticella di cui si parla nel quartier generale dem - vedrebbe i grillini in condizione di debolezza al tavolo di una coalizione elettorale. Coalizione che, a quel punto, sarebbe l’unico modo per i Cinquestelle di evitare l’irrilevanza in Parlamento. “Si tratterà di capire se l’interlocutore sarà ancora Conte”, lascia cadere un deputato Pd riferendosi ad alcune voci che parlano di Virginia Raggi come la scelta “naturale” del M5S qualora si presentasse la necessità di sostituire il presidente. Una ipotesi fondata su due elementi: in caso di sconfitta, i Cinquestelle dovrebbero cercare un esponente di spicco legato alle origini del Movimento. Ancora meglio, un esponente apertamente anti-Pd così da rassicurare il proprio elettorato che, con un accordo elettorale, non ci si sta consegnando al nemico.
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