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Terzo Polo, Calenda fa mea culpa sul flop: “Ho sbagliato nei toni su Renzi”
Dopo il divorzio non è più tempo di insulti. Non torna il sereno ma è tempo di mea culpa. Almeno per Carlo Calenda che ieri ha ammesso d’essere andato oltre il consentito nella lite senza ritorno che ha scritto la parola fine sul Terzo Polo. «Non penso che Matteo Renzi sia un mostro, non l’ho mai pensato altrimenti non avrei fatto un’operazione con lui, penso però che ci sono stati 20 giorni di attacchi continui a cui io non ho risposto se non per questioni politiche. Alla fine è successo che la situazione è degenerata. Quello che voglio spiegare è che io non ho altro interesse se non di farla funzionare, c’era la mia faccia sopra, ci ho lavorato». Questa la spiegazione dei fatti del leader di Azione, ospite di «Start» su SkyTg24. «Ho risposto una volta» agli attacchi, aggiunge Calenda, «e l’ho fatto con un post sbagliato perché i toni erano troppo forti. Quello mi è uscito male, è stato l’unico attacco personale» a Matteo Renzi, «ma ne ho ricevuti valanghe».
Sulla possibilità di ricucire lo strappo Calenda, poi, sembra non lasciare spiragli: «Matteo Renzi aveva già detto che faceva un passo indietro e non è successo. Credo che è una questione politica, se uno dei due partiti non vuole sciogliersi, posso fare un passo indietro, di lato, sopra, sotto, ma quello che è successo con me risucederebbe con il prossimo. Come facciamo ad andare avanti con gli attacchi, le veline ai giornali? È stata una decisione presa in modo collettivo. Adesso il punto è capire come ricostruire un lavoro fatto nel tempo, durante la campagna elettorale, alla fine abbiamo preso due milioni e mezzo di voti, è stato un lavoro gigantesco che è stato mandato in frantumi». «Io ancora - continua il leader di "Azione" riferendosi alla rottura con "Italia viva" - non ho capito bene il perché, forse ce lo spiegherà in futuro, non mi interessa neanche più tanto bene capirlo, non è la prima volta che accade a chi ha a che fare con Matteo Renzi. Però resta il fatto che per noi il tema oggi è costruire quell’area e lo faremo in modo collettivo, con Richetti, Carfagna, con gli amministratori locali, con Gelmini, con tutti quelli che collaborano con la massima apertura. Sugli argomenti con Bonetti, Marattin, Rosato. Sugli argomenti perché per quel che riguarda il progetto politico non lo hanno voluto fare e io non ho la forza di obbligarli, nessuno ha la forza di obbligare Matteo Renzi. Sulla questione partito unico abbiamo già dato, ricominciare da capo non si può».
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Il divorzio da Italia Viva, aggiunge poi Calenda, «lo stiamo pagando nei sondaggi ma soprattutto personalmente. Ho dedicato alla costruzione di questa area liberal-democratica che doveva superare addirittura l’idea di federazione tutto me stesso, con il valido aiuto di un pezzo di Iv. Ho fatto questo notte e giorno dalle elezioni, ma io non sono in grado di obbligare la mia controparte a fare una cosa che non vuole. Non è che tutti i progetti debbano andare bene, ci sta che uno a un certo punto cambi idea. Quello che secondo me in tutta questa vicenda ha fatto male è che invece di prendere una posizione chiara si è cominciato con una serie di attacchi che non hanno senso». Calenda poi passa a parlare dei rapporti col Pd attuale: «Penso che la distanza che abbiamo con Elly Schlein è siderale. Sul salario minimo non ho visto una proposta della Schlein, siamo ai titoli. È l’impronta di quello che vuole fare Schlein che non mi convince. Sta portando il suo partito in una posizione estrema a sinistra. Meloni è rimasta in una posizione estrema a destra, che andrà in uno scontro molto duro con l’Europa sul Pnrr. C’è un’area centrale di elettori a cui bisogna parlare, ed è un lavoro molto lungo», conclude.