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Per l'Italia è tempo di nucleare pulito. Bisignani: “È considerato Made in Italy”

Luigi Bisignani
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Caro direttore, nucleare «Made in Italy»? Con un governo di centrodestra eletto dagli italiani, e non il solito fatto di inciuci e veti incrociati, finalmente si può mettere in campo una politica industriale unitaria, lungimirante, ma soprattutto un risolutivo coordinamento sinergico tra le grandi aziende pubbliche che finora hanno vagato in ordine sparso come monadi leibniziane. Lo reclama pure l’Ue con la scadenza «emissioni zero 2050» per la transizione energetica. La sinergia virtuosa dovrebbe coinvolgere non solo le fonti rinnovabili, ma anche il demonizzato nucleare, quello di nuova generazione, appena rientrato nella tassonomia Ue insieme al gas. La Meloni, secchiona com’è, si è documentata e la sua non contrarietà fa ben sperare. D’altronde, tutti i partner del G7 ricorrono all’energia nucleare, tranne l’Italia che, con i referendum dell’87, figlio del disastro di Chernobyl e quello del 2011 a ridosso della tragedia di Fukushima, ha bandito l’atomo ed è entrata nell’area «nimby» - not in my backyard. Tuttavia, stando ai sondaggi più recenti, la maggioranza degli italiani, dopo i salassi delle bollette, guarda oggi con rinnovata attenzione alle nuove tecnologie. La stessa Eni crede nel nucleare pulito, infatti, dal 2018 partecipa, con una quota di circa il 20 percento, al progetto Commonwealth Fusion System, uno spin off di Plasma Science e Fusion Center del famoso MIT, una vecchia idea del professor Bruno Coppi, uno dei più eminenti scienziati italiani. Chiusi ecumenicamente i giochi delle nomine, consolidata di fatto la maggioranza di governo grazie ai boiardi di Stato, clamorosamente riuscito l’esperimento di scissione del neutrino Terzo polo, ma soprattutto con Forza Italia e Lega che ritengono che l’adozione del nucleare non venga considerato più tabù, si apre ora una nuova stagione.

 

 

Acclarato che le fonti rinnovabili, seppur incrementate e a pieno regime, non bastano per il fabbisogno nazionale, si potrebbe coinvolgere le nostre eccellenze, come il fisico Stefano Buono, che di nucleare vive, per far capire che il nucleare pulito e sicuro è possibile, anche in tempi brevi, ed è un’opportunità di sviluppo sostenibile necessario al pianeta. È ora però di darsi da fare. Non essere stati presenti all’incontro, oltretutto informale, organizzato a Stoccolma a margine del Consiglio europeo dei ministri dell’energia, trasporti e tlc è stata sicuramente un’occasione perduta. L’alleanza nucleare europea attualmente include Parigi, Amsterdam, Varsavia, Budapest, Bucarest, Zagabria, Lubiana, Praga, Bratislava, Sofia e Helsinki. E chissà se questa volta la premier lascerà fare il suo mestiere al ministro competente, si fa per dire, Pichetto Fratin con delega all’ambiente e alla sicurezza energetica o se, ancora una volta, accentrerà tutto a palazzo Chigi. Di sicuro non potrà occuparsene la Sogin che ha svolto finora il lavoro preparatorio di individuazione delle aree idonee per lo smaltimento dei rifiuti radioattivi. Proprio Sogin che, in circa venti anni di vita, è giunta al terzo commissariamento, segno evidente che il modello non funziona e che va radicalmente cambiato. Tanto più che la Francia, via Edison, sfrutta i pochissimi tecnici rimasti in Ansaldo per la manutenzione delle proprie centrali. Mentre l’Ungheria, in barba alle sanzioni e alla guerra in Ucraina, si affida ai russi per l’ammodernamento del suo parco nucleare.

 

 

L’energia nucleare piace all’Esecutivo perché la considera un prodotto «Made in Italy» di cui andare fieri, al pari di moda e design: è stata infatti scoperta novanta anni fa in via Panisperna a Roma da scienziati italiani e fino agli anni ‘70 siamo stati una nazione leader nel nucleare civile. Non possiamo permetterci di lasciarla in mano ai francesi, sull’argomento in totale disaccordo con la Germania. Ed è proprio in chiave diplomatica, oltre che industriale, che Giorgia dovrebbe giocarsi questa carta, anche con gli alleati americani. Sul fronte dei rifiuti, le aziende Usa hanno realizzato le centrali italiane, ne conoscono i dettagli e ne possiedono le chiavi ingegneristiche, oltre ad essere le uniche ad aver già gestito il «decommissioning» - smantellamento di impianti nucleari obsoleti. Allo stesso tempo, gli Stati Uniti potrebbero in poco tempo far rientrare l’Italia nel nucleare con lo sviluppo di nuovi progetti, ad esempio nel campo dei piccoli reattori modulari. Occorre altresì chiudere una procedura d’infrazione europea e tagliare le spese che il governo sostiene a favore di Francia e Inghilterra per stoccare i residui radioattivi italiani che la Nazione non sa dove mettere. Meloni ne ha parlato perfino con l’amico ritrovato Macron nell’ultimo bilaterale a Bruxelles, schierando l’Italia tra i Paesi che considerano il nucleare funzionale alla transizione energetica. Ed ha lanciato ulteriori segnali questa settimana con la nomina di Flavio Cattaneo e Paolo Scaroni, rispettivamente neo Ad e Presidente di Enel: entrambi hanno manifestato già da tempo apertura nei confronti delle tecnologie nucleari ed avranno voce in capitolo sul tema. Lo stesso miracolato Cingolani, fresco Ceo di Leonardo, non ha mai mancato di sottolineare che per decarbonizzare, occorre aprire le porte al nucleare. Meloni finora ha fatto rodaggio, adesso vediamo se ha voglia di diventare atomica.

 

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