retroscena

Naufraga il partito unico ma il Terzo polo non è ancora archiviato

Edoardo Romagnoli

Il Terzo polo resta in piedi, a naufragare sarà, almeno per ora, il progetto del partito unico. O meglio il partito unico che doveva nascere dalla fusione di Italia Viva e Azione perché in realtà Calenda ha dichiarato che lui continuerà il progetto da solo. «Azione farà questo lavoro, mettendo in discussione tutto: il suo nome, il manifesto politico che dovrà essere inclusivo verso l’area popolare e liberale» ha dichiarato l’ex ministro dell’Economia. Che detta così più che un partito unico sembra un restyling di Azione.

 

  

Il progetto di «fusione» fra il partito di Renzi e quello di Calenda sembrava, seppur fra mille difficoltà, essere avviato poi però nell’incontro che doveva appianare le ultime criticità qualcosa è andato storto. E la riunione in programma per ieri sera alla fine non si è fatta. Ma di chi è la colpa della rottura? Per i calendiani la colpa è di Renzi che, a detta loro, sta tramando la scalata al partito mentre per i renziani è Calenda che non riesce a fare pace con se stesso.

«Calenda è pazzo, ha sbagliato le pilloline» sarebbe la frase con cui Renzi ha sintetizzato ai suoi la situazione, frase poi smentita dallo stesso. Calenda da parte sua ha fatto un video in cui ha ribadito che: «Il progetto del partito unico con Italia Viva è naufragato per la semplice ragione che Renzi ha ripreso direttamente in mano IV due mesi fa e non vuole rinunciarvi». A dispetto delle dichiarazioni il nodo cruciale restano i soldi. La proposta di Calenda prevedeva un gettone di ingresso di 200 mila euro e il 70% delle donazioni del 2x1000 dal secondo semestre del 2023 al partito unico.

 

Mentre la contro proposta di Italia Viva prevedeva che ognuno dei due partiti contribuisse al 50% del fabbisogno complessivo della nuova formazione politica. Specificando che: «Italia Viva ha già versato al progetto del Terzo polo 1 milione e 200 mila euro. Soldi impiegati nella stragrande maggioranza dei casi per affissioni recanti il volto e il nome di Calenda».

Un conto però è il fallimento del partito unico, un conto è un’eventuale frattura del Terzo polo che comporterebbe «perdite economiche» ben più gravi. Il vero tesoretto infatti non sono tanto le casse dei due partiti visto che Azione ha raccolto donazioni per circa 1 milione e 200 mila euro e Italia Viva ha in cassa poco più di 970 mila euro, ma il contributo annuale che Camera e Senato forniscono ai gruppi parlamentari per «l’esplicazione delle loro funzioni». Secondo un sistema premiale che stanzia più soldi ai gruppi più numerosi. In quest’ottica una scissione non conviene a nessuno dei due.

 

Per capirlo basta vedere la differenza dei rimborsi alla Camera fra Italia Viva e Azione nella scorsa legislatura. Il partito di Renzi ha incassato circa 1 milione e 200 mila euro, mentre la creatura di Calenda, che era parte del Misto, ha messo in tasca poco più di 140 mila euro. Per mantenere i gruppi e i relativi finanziamenti alla Camera servono almeno 20 deputati e a Palazzo Madama almeno 6 senatori, ma a Montecitorio i deputati renziani sono 9 e quelli di Azione 12 e al Senato Italia Viva conta 5 senatori e Azione 4. I conti non tornano. Visto tutto ciò si capisce il motivo per cui Renzi nella riunione di ieri con i suoi abbia definito la frattura come un «grave errore».

Adesso la strategia di sopravvivenza potrebbe passare da un «accordo tecnico» per cui le due formazioni politiche restano nello stesso gruppo parlamentare, ma con un’autonomia da Misto. Anche se c’è ancora chi crede nel progetto del partito unico. «Non credo che il progetto sia fallito, ha solo una gestazione più lunga del previsto - ha detto Ettore Rosato a Rai Radio 1 - in politica non bisogna mai dare nulla per definitivo».