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Pd, Schlein si prende i capigruppo ma il nuovo non avanza

Christian Campigli
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Una mossa decisa, perentoria. Che lascia poco spazio all'immaginazione. E delinea il Partito Democratico che verrà. Elly Schlein tira dritto e, nonostante le polemiche e le richieste di attenzione da parte della minoranza interna, fa eleggere alla Camera e al Senato i capigruppo decisi ed imposti dal nuovo segretario. Nello specifico, a Palazzo Madama sarà Francesco Boccia (parlamentare da tre legislature) a prendere il posto di Simona Malpezzi, a Montecitorio il ruolo fin qui ricoperto da Debora Serracchiani andrà alla franceschiniana per eccellenza, Chiara Braga.

Un atto ufficiale, attraverso il quale la nuova guida rivolge un messaggio forte e chiaro alle correnti: nel nuovo Pd si discute, ci si confronta, ma poi le decisioni le prendo io. Un'assoluta novità per un partito che, da sempre, fa delle divisioni interne e delle interminabili discussioni sulla lana caprina uno dei suoi tratti distintivi. Una decisione, quella dell'esponente italo-svizzero, che ha lasciato inevitabilmente un lungo strascico di polemiche. In primis tra chi, volente o nolente, ha dovuto fare un passo indietro. «Avrei preferito che la discussione avvenisse prima tra di noi che sui giornali – ha tuonato Simona Malpezzi - È fondamentale garantire autonomia e libero spazio di discussione all’interno del gruppo. Dobbiamo tutelare questi spazi di autonomia».

Uno scenario da incubo per Stefano Bonaccini e per chilo ha sostenuto. Il governatore dell'Emilia Romagna era convinto che, dopo aver ottenuto il ruolo di presidente, avrebbe avuto un peso specifico anche nelle decisioni politiche. Una valutazione che, ad oggi, appare molto distante dalla realtà. «Avrei preferito una rosa di nomi per la scelta del nuovo capogruppo – ha sottolineato la senatrice Sandra Zampa, fedelissima di Romano Prodi - Si superi la rappresentazione che chi ha votato Schlein è di sinistra e chi ha votato Bonaccini è ex renziano».

Un passaggio, quello di ieri, che sancisce un prima e un dopo e che ridisegna un Pd spostato completamente sulla rive gauche. Un movimento politico che guarda con sospetto Matteo Renzi e Carlo Calenda e strizza l'occhio a Giuseppe Conte, Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli. Ancora più netto e più critico, se possibile, Andrea Marcucci.

Sulla propria pagina Facebook, l'esponente toscano ha pubblicato un commento che assomiglia, e non poco, ad un addio. «La segretaria del Pd, Elly Schlein, attraverso la scelta dei capigruppo, ha mandato un messaggio inequivocabile. Per i riformisti e, ancor più per i liberaldemocratici, nel Pd non c'è spazio. Sono ai margini e forse danno anche fastidio. Peccato». Mal di pancia condiviso anche da Lorenzo Guerini, leader di Base Riformista. «Il congresso ha avuto un esito complesso che va interpretato con intelligenza, senza dannose semplificazioni. La complessità richiede condivisione se si vuole andare a una prospettiva unitaria e quindi, ritengo che questo passaggio abbia avuto elementi di forzatura politica sia nell’interpretazione del risultato congressuale che nel rapporto con l’autonomia dei gruppi parlamentari».

Un partito che, al di là delle parole di circostanza e di soddisfazione espresse dal neo segretario («stiamo lavorando a un assetto complessivo ed equilibrato, rispettoso del pluralismo e dell'esito delle primarie») pare aver preso una direzione perentoria. Che vira, con forza, verso la sinistra massimalista.

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