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Giustizia, Nordio alla Camera: “Nessuna intenzione di abrogare il reato di tortura"

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«Posso rispondere senza se e senza ma. Il governo non ha nessuna intenzione di abrogare il reato di tortura». Il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, al question time alla Camera pone fine a tutte le critiche nei confronti del governo di centrodestra sull’ipotesi di veder sparire tale reato dal codice penale. Una realtà distorta assicura l’ex magistrato: «È un reato odioso, abbiamo tutte le intenzioni di mantenerlo». 

 

 

Nordio specifica su cosa si vuole intervenire: «C’è soltanto un aspetto tecnico che deve essere rimodulato. Il reato di tortura, così come è formulato, ha carenze tecniche di specificità e tipicità che devono connotare la struttura della norma penale. La volontà del governo è di tenere fermo il reato di tortura, sia per ottemperanza a quanto stabilito dalle norme internazionali, sia per una questione di coerenza, perché questo reato è particolarmente odioso, e abbiamo intenzione di mantenerlo. Le carenze tecniche sono due. La prima riguarda l’atteggiamento soggettivo del reato, in quanto la convenzione di New York circoscrive condotte costituenti tortura a quelle caratterizzate dal dolo specifico, attuate per raggiungere le finalità di ottenere informazioni o confessioni, punire, intimidire o discriminare. Invece il nostro legislatore, optando per una figura criminosa e contrassegnata dal dolo generico, quindi senza l’intenzione ulteriore di ottenere un determinato risultato, ha eliminato quello che è il tratto distintivo della tortura rispetto agli altri maltrattamenti, rendendo concreto il rischio, paventato tra l’altro anche dai rappresentanti delle forze dell’ordine, ma non solo loro, di vedere applicata la disposizione nei casi di sofferenze provocate durante operazioni lecite di ordine pubblico e polizia». 

 

 

Un ulteriore rilievo critico, ha spiegato Nordio, «è rappresentato dalla inopportuna fusione in un’unica fattispecie il reato delle figure criminose di tortura e di trattamenti inumani e degradanti che da sempre sono considerati sul piano internazionale figure distinte e meritevoli di considerazione differenziata». Quindi, ha concluso il ministro, «sottoporre le condotte integranti due illeciti aventi una offensività diversa al medesimo rigoroso trattamento sanzionatorio appare una scelta che non è ragionevole e non è imposta dai vincoli internazionali». Con buona pace della sinistra.

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