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Fratelli d'Italia contro l'utero in affitto: maternità surrogata reato all'estero

Dario Martini
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Fratelli d’Italia vuole introdurre il reato di maternità surrogata all’estero. Nel nostro Paese il ricorso all’«utero in affitto» per avere figli è già vietato. Motivo per cui molte coppie si recano in altri Stati dove invece è perfettamente legale. Adesso il partito del premier intende punire tale pratica anche quando viene commessa fuori dai confini nazionali. Questa è una vecchia battaglia di Giorgia Meloni, che non ha mai nascosto la sua contrarietà alla maternità surrogata, definita «un abominio che vuole ridurre la vita umana a merce di scambio». Per porre fine a tutto ciò, FdI ha presentato due proposte di legge, praticamente identiche, nei due rami del parlamento. Quella depositata in Senato è di inizio febbraio, quella alla Camera è stata pubblicata recentemente e assegnata in commissione Giustizia.

La prima porta le firme della senatrice e sottosegretario alla Difesa, Isabella Rauti, e del capogruppo a Palazzo Madama, Lucio Malan. L’altra è a prima firma della deputata Maria Carolina Varchi, sottoscritta anche dai colleghi Almici, Ambrosi, Amich, Colosimo, De Corato, Deidda, Di Giuseppe, Iaia, Longi, Lucaselli, Malaguti, Marchetto Aliprandi, Morgante, Tremaglia e Urzì. Come si legge nel testo, l’attuale «divieto opera solo a livello nazionale, mentre in altri Paesi, sia europei e soprattutto extraeuropei come India e Stati Uniti d’America, tali pratiche sono legali». Un fatto che «ha dato e sta dando luogo in questi anni alla diffusione del cosiddetto turismo procreativo, cioè quel fenomeno per cui coppie italiane che non possono avere figli si avvalgono della tecnica della surrogazione di maternità in un Paese estero in cui la stessa è consentita». I deputati di FdI lo definiscono un «esempio esecrabile di commercializzazione del corpo femminile e degli stessi bambini nati attraverso tali pratiche che sono trattati alla stregua di merci». A supporto di questa tesi, ricordano ciò che avviene in India, dove il business della maternità surrogata vale oltre due miliardi di dollari l’anno. Le pseudo volontarie che prestano il loro utero vengono attirate da prezzi che vanno da 25mila a 30mila dollari a gestazione. Mentre negli Stati uniti il compenso può salire fino a 50mila euro. «Tutto ciò dimostra come la "favola" della madre che generosamente presta il proprio corpo a una donna che non riesce a sostenere la gestazione sia lontana dalla realtà - scrivono i parlamentari di FdI - mentre la verità è che si tratta di un banale mercimonio di madri e di bambini».

 

 

 

Nella proposta di legge si ricorda anche la mozione del 18 marzo 2016 del Comitato nazionale per la bioetica, organo di consulenza di governo e parlamento, in cui la maternità surrogata viene definita «un contratto lesivo della dignità della donna e del figlio sottoposto come un oggetto a un atto di cessione», ritenendo che «l’ipotesi di commercializzazione e di sfruttamento del corpo della donna nelle sue capacità riproduttive, sotto qualsiasi forma di pagamento, esplicita o surrettizia, sia in netto contrasto con i principi bioetici fondamentali». Ecco allora la soluzione proposta: applicare il reato attualmente vigente solo all’interno dei confini nazionali anche allo stesso fatto commesso da cittadini italiani all’estero. Cosa si rischia? La legge di riferimento è la n.40 del 19 febbraio 2004, che all’articolo 12, comma 6, prevede la reclusione da tre mesi a due anni e una multa da 600mila a un milione di euro per chi «realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità».
 

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