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Pd, lo sgarbo di Schlein a Bonaccini: niente telefonata e spaccatura su tutto

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Situazione incandescente all’interno del Partito Democratico dopo le primarie. Il problema non sono gli incarichi: l’area Bonaccini chiede parole chiare sui «fondamentali». In altre parole, se collaborazione deve essere fra la segretaria eletta del Pd e Stefano Bonaccini, questa deve fondarsi su almeno due elementi. La certezza che i dem non deraglino dai binari dei valori alla base della nascita del partito. E che ci sia un confronto vero fra la stessa Elly Schlein e Bonaccini: «Devono parlarsi», dice una fonte parlamentare dem che ha sostenuto il governatore al congresso. È ancora attesa la telefonata tra i due. Bonaccini si è complimentato in diretta Tv con la neo segretaria, ma nessun contatto - viene riferito - c’è stato dopo la sera delle primarie. 

 

 

Le diplomazie si sono messe al lavoro questa mattina dando di fatto inizio al confronto in vista della assemblea di domenica 12 marzo. Sarà quello il momento dell’investitura ufficiale di Schlein e dell’insediamento dell’ufficio di presidenza e degli altri organi statutari, compresa l’elezione del Tesoriere. «Il tema dell’unità del partito non si risolve con gli strapuntini», come dice un esponente vicino a Bonaccini. Certo. Ma è altrettanto vero che la casella della presidenza del Pd è di quelle che pesano. Tanto che, quando Matteo Renzi era segretario Pd, si arrivò a uno scontro che portò alle dimissioni dell’allora presidente dem, Gianni Cuperlo. «Il segretario del Pd ha il diritto e il dovere di interpretare una linea», è il ragionamento offerto da fonti vicine a Bonaccini, «ma occorre tenere fermi i fondamentali». Ovvero, la linea sula politica estera e di difesa, per dirne una. 

 

 

Il fronte Bonaccini è, infatti, preoccupato che si possa mettere da parte la linea di sostegno senza se e senza ma all’Ucraina in favore di una posizione più vicina al Movimento 5 Stelle. Come rilevato da diversi esponenti vicini a Schlein, tuttavia, la segretaria ha votato tutti i decreti sugli aiuti a Kiev assieme a tutto il Pd e continuerà a farlo. Inoltre, viene sottolineato, «non è che ce ne sia uno al mese, se ne riparlerà fra circa un anno». Il tema, semmai, riguarda la capacità di mettere in campo oltre all’aiuto in armi un maggiore impegno a livello diplomatico.Un altro «fondamentale» che l’area Bonaccini difende è quello che riguarda gli iscritti: «È un errore sminuire, come fa qualcuno, l’importanza del voto degli iscritti. Se lo facciamo, vuol dire che siamo un movimento che bypassa gli iscritti e, a quel punto, possiamo chiudere il partito». Se questo è il punto di partenza, ogni ragionamento sugli incarichi in segreteria e nei gruppi parlamentari è prematuro. A chi porta avanti il lavoro diplomatico con la controparte della maggioranza interna, ad oggi, non risulta alcuna ipotesi riguardante i capigruppo o i ruoli della segreteria. «Devono parlarsi Schlein e Bonaccini. L’importante è che si parlino. Tutti i nomi che sono usciti fino ad oggi sono degli ’auto indicatì. Servono atti concreti» per parlare di salvaguardia dell’unità del partito. A ballare sono quattro caselle: le due presidenze dei gruppi, il ruolo di vice in segreteria e la presidenza dell’assemblea. «Prima il metodo e poi i ruoli», è la formula usata in ambienti parlamentari dem per dribblare le domande su questo punto. 

 

 

Tuttavia, nei ragionamenti che si fanno in Transatlantico il tema sembra più cogente. Perché Schlein ha garantito di voler preservare l’unità del partito e la formula lascia pensare che sia disponibile a fare concessioni all’area Bonaccini, uscita sconfitta dalla corsa alle primarie. Da questo punto di vista, osserva una fonte parlamentare vicina alla segretaria, «il segnale più forte potrebbe essere quello di lasciare una delle presidenze delle Camere alla minoranza». Più facile che si tratti di quella di Montecitorio, viene spiegato, dato che è lì che siede anche la neosegretaria. Schlein, in altre parole, potrebbe controllare da vicino il gruppo pur non indicando uno dei suoi per quel ruolo. Il nome che viene fatto a questo proposito è quello di Simona Bonafè, deputata, già europarlamentare e segretaria regionale della Toscana. Una esponente di sicura esperienza e dal piglio deciso. A pesare, tuttavia, è la fama di «renziana dura e pura» ai tempi in cui il leader di Italia Viva era segretario Pd. Bonafè, inoltre, è reduce da una doppia sconfitta: con Bonaccini, a livello nazionale, e in Toscana dove è stato eletto segretario regionale il deputato di area Schlein Emiliano Fossi contro Valentina Mercanti, della mozione Bonaccini.

Per queste ragioni non è ancora tramontata l’ipotesi di confermare Debora Serracchiani il cui lavoro a Montecitorio sembra sia stato apprezzato negli ultimi mesi dalla neo segretaria. L’ipotesi Serracchiani, tuttavia, potrebbe aprire un caso nel gruppo del Senato, guidato da Simona Malpezzi: entrambe le capigruppo sono state rinnovate ‘pro tempore’ dall’ex segretario Enrico Letta dopo le elezioni di ottobre proprio per non aprire una guerra intestina ai gruppi a pochi mesi dal congresso. Lasciare Serracchiani e sostituire Malpezzi potrebbe apparire come un provvedimento contra personam’. Se invece Schlein dovesse decidere di indicare capogruppo alla Camera chi proviene dalle fila della sua mozione, le principali candidate sarebbero Chiara Braga e Chiara Gribaudo.

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