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Meloni, missione in Europa: si cerca l'intesa su migranti e aiuti di Stato

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Uniti nel sostegno all’Ucraina, divisi su migranti e aiuti di Stato. Così i ventisette leader dell’Unione europea si presentano al vertice Ue che si tiene giovedì 9 febbraio (e potrebbe prorogarsi a venerdì) a Bruxelles. Oltre all’Ucraina - che sarà dossier di apertura con la partecipazione del presidente Volodymyr Zelensky - i capi di Stato e di Governo, tra i quali Giorgia Meloni, sono chiamati a confrontarsi su due punti spinosi dell’agenda europea. La proposta presentata dalla Commissione per un Piano industriale del Green deal, in risposta all’Inflation reduction act americano, dovrà essere bilanciata tra chi è a favore di un ampio allentamento delle regole sugli aiuti di Stato (vedi Germania e Francia) e chi, avendo anche poco spazio fiscale per fare nuovo debito ed elargire aiuti, vorrebbe invece maggiore flessibilità nell’uso dei fondi europei presenti e, per il medio termine, nuovi fondi da destinare alla sovranità industriale europea. Tra questi vi è l’Italia che da settimane fa appello a mantenere l’integrità del Mercato unico e a evitare una frammentazione interna che potrebbe nuocere all’industria europea più di quanto farebbe la concorrenza americana o cinese. 

 

 

Il punto di equilibrio, ottenuto dopo giorni di negoziati tra ambasciatori e ministri, è di vincolare l’allentamento degli aiuti di Stato. La formula che sembra sciogliere la tensione è ormai quella consolidata con gli schemi già adottati per l’emergenza Covid e la crisi energetica: gli aiuti devono essere «temporanei, mirati e proporzionati». Nella prima versione delle conclusioni del vertice si parlava solo di aiuti mirati. In cambio di questa apertura sull’allentamento degli aiuti di Stato, i Paesi con più difficoltà di assorbimento dei fondi europei rivendicano la necessità di una maggiore flessibilità. «Questo tema, per quanto ci riguarda, non è marginale perché potrebbe riguardare un possibile utilizzo a questo scopo di risorse molto importanti quali quelle della coesione, del Pnrr, non avendo una nostra capacità autonoma, e che rientrerebbero in un utilizzo flessibile», ha spiegato il ministro agli Affari europei, Raffaele Fitto, in audizione alle commissioni di Camera e Senato in vista del vertice. La flessibilità sarebbe una risposta a breve termine. Per il lungo termine, invece, si valuterà l’introduzione di un fondo europeo per la sovranità. Ma finora nessuno è in grado si sbilanciarsi sul come sarà costituito questo fondo. Ciò che è certo è che i Paesi «frugali» insistono sulla necessità di usare «le centinaia di miliardi di euro di fondi europei già disponibili». A Bruxelles nessuno si aspetta un nuovo Next Generation Eu. 

 

 

Nord e Sud rischiano di essere divisi anche sui migranti. Nonostante la premessa questa volta sia «le migrazioni sono una sfida europea da affrontare con una risposta europea». Quindi nessuna divisione tra Paesi di primo arrivo e Paesi secondari, tra confini esterni e confini interni. L’elemento centrale della nuova strategia (l’ennesima) è affrontare la questione alla radice: collaborare con i Paesi di origine e di transito per evitare le partenze. Così da non dover affrontare l’emergenza arrivi. E per cooperazione si intende anche il ricorso «a ogni strumento per fare leva su questi Paesi, dalla politica commerciale, a quella dei visti». In sostanza, gli Stati che collaboreranno con l’Unione europea, favorendo ad esempio i rimpatri, riceveranno un trattamento migliore. E viceversa. Resta però una questione interna, e divisiva, la protezione dei confini esterni: un gruppo di Paesi, guidati questa volta dall’Austria, insiste con la Commissione europea sulla necessità di finanziare i muri (nel caso particolare si parla di tre miliardi di euro per separare la Bulgaria dalla Turchia). L’esecutivo europeo insiste sull’impossibilità di usare fondi suoi per costruire muri, pur aprendo alla realizzazione di infrastrutture (che possono essere torrette, videosorveglianza, droni). Il Consiglio invece è convinto che legalmente la Commissione lo possa fare e che «è infrastruttura ogni muro che contiene dei punti di accesso».

L’Italia sul punto in particolare non si esprime ma invita a riconoscere la specificità dei confini marittimi e chiede quindi una maggiore cooperazione per la gestione dei salvataggi. Anche tramite il codice di condotta (o di cooperazione rafforzata) per gestire l’attività delle Ong. Ovviamente la discussione si complicherebbe se Austria e Paesi Bassi tornassero a insistere sulla responsabilità dei Paesi di arrivo nell’applicazione delle regole di Dublino per arginare i movimenti secondari. In tal caso, l’Italia di Meloni tornerebbe a richiamare alla solidarietà obbligatoria dato l’eclatante fallimento di quella volontaria.

 

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