verso il voto
Regionali Lazio, neanche il Pd crede alla vittoria. E D'Amato attacca i vertici
Distratto dal congresso, il Partito democratico lascia solo Alessio D'Amato. I dirigenti democratici, credendo forse poco nelle effettive possibilità di vittoria del candidato presidente, preferiscono concentrarsi sulle regole delle primarie e il regolamento di conti interno, piuttosto che sostenere l'assessore alla Sanità nella corsa alla Regione Lazio. Una situazione che rischia di indebolire lo stesso D'Amato, che infatti sbotta e richiama all'ordine il proprio partito.
In una intervista al Fatto Quotidiano, il candidato governatore del centrosinistra non le ha mandate a dire, invitando i dirigenti democratici a fare campagna elettorale anziché pensare solo al congresso che vede opposti Stefano Bonaccini, Elly Schlein, Paola De Micheli e Gianni Cuperlo per la successione a Enrico Letta alla guida del Nazareno. «Sono impegnato nella corsa alla presidenza dela Regione, mi rivolgo a elettori ed elettrici su temi concreti. Forse sarebbe importante che il Pd si concentrasse, oltre che nella fase congressuale, anche nella battaglia che riguarderà tra Lombardia e Lazio oltre 15 milioni di persone. Dobbiamo fare in modo di vincere le regionali perché la vittoria nel Lazio potrebbe segnare un cambio nella percezione del Pd e anche una ripresa di fiducia in un popolo usicto socnfitto dalle elezioni», le parole di D'Amato.
Ma che la battaglia nel Lazio si possa vincere, lo pensano D'Amato e pochi altri. Claudio Velardi, ormai ex spin -doctor dell'assessore alla Sanità, qualche giorno fa in un tweet aveva accusato alcuni ignoti esponenti del Pd di remare contro. «Alessio è un ottimo candidato, competente, concreto e tenace, ma nel suo partito molti gli fanno la guerra, perché vogliono perdere», l'accusa di Velardi.
A chi si riferiva? Forse a quelle correnti del Pd che guardavano al campo largo o, comunque, all'alleanza con il M5S - ovviamente con un candidato presidente diverso - e non con il Terzo polo. O a chi invocava primarie che il Pd aveva prima lanciato e poi si è rimangiato dopo l'ultimatum arrivato da Carlo Calenda. Tanto che nel comitato di D'Amato si teme molto il voto disgiunto, che, cioè, alcuni candidati al Consiglio regionale invitino o lascino liberi i propri elettori di votare la candidata governatrice M5S Donatella Bianchi (o quello del centrodestra Francesco Rocca), purché non si dimentichino di indicare la preferenza nella lista Dem.
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Voci, sospetti. Di certo c'è che nel Pd del Lazio è in corso un confronto molto aspro (c'è chi non esita a definirla una «guerra») tra le correnti del partito e, conseguentemente, tra i candidati al Consiglio regionale. Uno scontro che va oltre il legittimo interesse a essere eletti. In ballo ci sono gli equilibri nel partito in vista del congresso nazionale, ma anche - se non soprattutto- di quello regionale e di quello romano.
AreaDem e zingarettiani da una parte. Manciniani (area di riferimento del sindaco di Roma Roberto Gualtieri) dall'altra. Uno scontro senza esclusione di colpi in cui sono entrati i veleni sulle nomine ritirate agli Egato e quelle last-minute in Città Metropolitana. Veleni che si protraggono da agosto e dalla diffusione del famoso video dell'ex capo di gabinetto di Gualtieri, Albino Ruberti.
Uno scontro che vede opposto Antonio Pompeo a Sara Battisti in provincia di Frosinone. Che vede da una parte Daniele Leodori, Emanuela Droghei, Massimiliano Valeriani e Michela Califano; e dall'altra Mario Ciarla ed Eleonora Mattia. Tutti candidati alla Pisana negli opposti schieramenti. Protagonisti del confronto per i nuovi equilibri del Pd a Roma e nel Lazio. D'Amato, dal canto suo, tira dritto e invita gli elettori al «voto utile», magari anche attraverso il disgiunto. Ma a suo favore. Una mossa per dissuadere tanti elettori di sinistra a votare per il M5S.