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Primarie Pd, è sempre guerra tra correnti. Liti, scontri e veleni, è il destino dei dem

Pietro De Leo
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L'accapiglio su regole e il ventaglio degli elettori delle primarie, nel Pd e in genere nel centrosinistra è sempre stato una costante da quando, oramai oltre tre lustri fa, fu introdotto questo meccanismo. Che risente del richiamo d'Oltreoceano, e lì ve n'è lunga e consolidata tradizione. Qui da noi un po' meno, ma è lungo il racconto di duelli e liti che spesso hanno fatto conquistare l'immaginario più alle procedure che ai contenuti in campo. Per esempio, un caso di scuola fu quello dell'autunno 2009. Primarie tra Dario Franceschini e Pierluigi Bersani. Il momento per il Pd era (come sempre) molto difficile: la prima Segreteria, quella guidata da Walter Veltroni, si era infranta all'inizio dell'anno dopo una serie di sconfitte elettorali. E dunque si sfidavano l'esponente di provenienza Margherita, che in quei mesi aveva svolto una leadership di transizione verso il momento congressuale, e l'ex ministro di identità diessina. Anche lì furono dibattiti durati settimane, sia sull'organizzazione delle operazioni di voto sia, persino, sull'utilizzo di spazi elettorali a pagamento. E a qualche giorno dal voto, peraltro, ci fu una polemica persino sui fac-simile elettorali. Dal comitato di Franceschini segnalarono come in Liguria, questi stampati (in cui veniva spiegato come votare) era stato precompilato il nome di Bersani. Dalle polemiche, peraltro, non fu immune neanche la tornata precedente, quella luminoso del 2007 da cui era uscito vincitore, appunto Walter Veltroni. Primo segretario del nascente Pd. Anche in quel caso le due anime principali fondative, quella di provenienza post democristiana e quella di derivazione post comunista, ebbero a duellare a suon di braccio di ferro, sia sulle regole, sia sulla possibilità di utilizzare l'elenco degli elettori delle precedenti consultazioni del 2005 per la scelta dei candidati Premier, sia sull'obolo da versare per partecipare al voto ai gazebo.

 

 

E poi c'è l'altro filone, fondamentale, quello delle primarie per l'elezione del candidato premier. Non, nello specifico, del leader Pd, ma comunque importanti per capire l'eterno ritorno della lite. In questo caso, caso di scuola fu quello del 2012, in cui si rimetteva alla decisione del popolo di centrosinistra chi avrebbe guidato la coalizione nelle elezioni politiche del 2013. Anche in quell'occasione, la muscolarità sulle regole fu molto accesa. E si scontravano due scuole di pensiero, quella dell'allora rottamatore Matteo Renzi, che forte del consenso di impronta «pop» sulle giovani generazioni voleva allargare il più possibile la platea. E quella di Bersani, che invece, da uomo proveniente dall'esperienza dei partiti strutturati, voleva un voto più regolato sulla base di un'appartenenza, per dir così, certificata. E al centro del duello finirono le norme sul ballottaggio in caso di mancato superamento del 50% di uno dei candidati. Bersani voleva mantenere quanto deciso dal Collegio dei garanti, ovvero consentire il voto soltanto a coloro che avevano partecipato al primo round. A meno che non si motivasse di aver avuto un impedimento. Renzi, invece, voleva una regola più fluida e si scagliò contro quella che appariva come una «richiesta di giustificazione» quasi sul modello di quanto accadeva a scuola. Addirittura, in quel duello non mancò un esposto al garante della privacy. A depositarlo fu Renzi, che aveva dubbi sulla pubblicazione dei sottoscrittori del pubblico appello del centrosinistra.

 

 

Insomma, anni di scontri piuttosto farraginosi che riflettevano le diverse sensibilità politiche delle forze in campo. Ben più suggestivo, forse, è il racconto parallelo, che molte volte irruppe nelle primarie di vario livello, che stavolta non riguarda le operazioni preventive, ma quelle di voto. Ecco allora i dissidi per un sospetto afflusso di cinesi alle primarie ai gazebo in cui si decideva la candidatura a Presidente della Regione Liguria (2015) e a sindaco di Napoli (2011). O ancora le liti a Roma, nel 2013, alle primarie per il candidato del Campidoglio. Lì, ai gazebo accorsero stranieri e rom, e una coordinatrice di sezione chiamò persino la polizia per sedare una lite. Insomma, la festa della democrazia è sempre una strada lastricata di incubi.

 

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