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Pd nel caos, Giorgio Gori avvisa gli ex Ds: se vince Elly Schlein me ne vado

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Un documento di dieci pagine e mezzo in cui si parla di Ulivo, bipolarismo maturo, vocazione maggioritaria, alleanze chiare. Il tutto datato 16 febbraio 2008. È il nuove fronte dello scontro interno al Partito Democratico, tanto da portare il sindaco di Bergamo, Giorgio Gori, a non escludere le dimissioni. «Ho condiviso la Carta dei Valori del Pd, aldilà delle leadership che si sono alternate. Oggi leggo che qualcuno vorrebbe mandare quella Carta al macero, e sospetto che siano gli stessi che vorrebbero Elly Schlein segretaria, per dare vita alla "rifondazione". Se i fondamenti del Pd non verranno stravolti rimarrò in questo partito. Altrimenti prenderò atto del fatto che il Pd è diventato un'altra cosa, e mi riterrò libero di decidere il da farsi». Il tutto nasce nel Comitato Costituente che si è riunito alcuni giorni fa a Roma e che è chiamato a riscrivere il Dna del partito alla luce di dei cambiamenti nel tessuto economico e sociale degli ultimi 15 anni. Tanti ne ha il Partito Democratico. Una esigenza, quella di mettere mano al Febbraio La data fissata per le primarie che eleggeranno il nuovo segretario del Pd.

 

Prima, però, ci sarà la pubblicazione del nuovo «manifesto dei valori» scritto dal comitato costituente nominato da Letta Manifesto dei Valori (questa la denominazione del documento), sollevata durante la prima riunione del Comitato e che ha provocato l'alzata di scudi dell'ala liberal del partito. Nel testo ci sono infatti passaggi che, oggi, appaiono superati dai fatti. Ad esempio: «Il Partito Democratico rappresenta lo sviluppo e la realizzazione dell'Ulivo, come soggetto e progetto di centrosinistra nel quadro di un bipolarismo maturo». Un riferimento, è la contestazione mossa da chi vuol riformare il Manifesto, che sembra superato dai fatti visto che in campo ci sono oggi, almeno, quattro poli che sembrano ben radicati: quello rappresentato dai Cinque Stelle, il centrodestra, il Terzo Polo e il centrosinistra di cui fa parte anche il Pd.

 

Tuttavia, al centro della disputa c'è soprattutto il riferimento all'approccio economico liberista che emerge da un passaggio come il seguente: «Compito dello Stato non è interferire nelle attività economiche, ma fissare le regole per il buon funzionamento del mercato, per mantenere la concorrenza anche con politiche di liberalizzazione e per creare le condizioni di contesto e di convenienza utili a promuovere innovazione e qualità». Un passaggio contestato da chi, nel Pd, vede le «contraddizioni di questo modello» e sottolinea che oggi «c'è bisogno di più Stato nell'economia, non meno Stato», come dimostra anche il recente caso dell'Isab di Priolo. A difendere il manifesto scendono in campo coloro i quali quelle dieci pagine hanno contribuito a scriverle. Stefano Ceccanti vede «un eccesso di critiche liquidatorie, alcune forse manifestamente infondate» e teme «che si sia scambiato il dibattito costituente col confronto anche aspro tra candidati e mozioni che ci impegnerà più avanti. Non certo ora».

 

Sulla stessa lunghezza d'onda Alfredo Bazoli, senatore e ulivista della prima ora che ritiene «superficiali» le critiche dei «costituenti» e teme «il patatrac» se «quel percorso straordinario che portò alla carta dei valori si azzera in modo estemporaneo».

 

Walter Verini, tesoriere dem, già capo della segreteria di Veltroni, rivendica la validità di quell'impianto. Denuncia in un post su Facebook «le pulsioni rottamatrici» e la «vocazione minoritaria» di alcuni interventi: «Mi sono parsi singolari per la loro approssimazione e superficialità circa il giudizio sul manifesto dei valori del 2007. Era ed è quello uno dei punti di elaborazione più alti della sinistra democratica italiana, elaborato da personalità di altissimo livello e spessore delle culture e delle esperienze progressiste, socialiste, laiche e cattolico-democratiche, ambientaliste e femministe». E ribadisce: «Consiglio a tutti un approccio più laico, senza damnatio memoriae e pulsioni rottamatrici».

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