Il flop delle politiche attive del reddito di cittadinanza: un'offerta ogni cinque candidati
Un Sud prossimo a entrare dentro l'ennesimo tunnel. Non è profezia di sventura, ma semplice realtà, per un Mezzogiorno che con ogni probabilità saluterà prima del previsto lo sprazzo di ripresa post pandemica. Ne sono convinti gli economisti dello Svimez, il cui rapporto 2022 è stato presentato ieri mattina alla Camera, alla presenza, tra gli altri, della vicepresidente della Camera, Anna Ascani, del direttore generale dello stesso Svimez, Luca Bianchi, di Antonio Decaro, presidente Anci e sindaco di Bari e di Raffaele Fitto, ministro per gli Affari europei, il Sud, le Politiche di coesione e il Pnrr. Punto di partenza, il Pil. Nel 2023 il Mezzogiorno sarà in recessione con un Pil che si contrarrebbe fino a -0,4%, mentre quello del Centro-Nord, pur rimanendo positivo a +0,8%, segnerebbe un forte rallentamento rispetto al 2022. Il dato medio italiano dovrebbe attestarsi invece intorno al +0,5%. E questo perché gli shock legati alla guerra hanno cambiato il segno delle dinamiche globali «interrompendo il percorso di ripresa nazionale coeso tra Nord e Sud», spiega lo Svimez.
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Per il quale «gli effetti territorialmente asimmetrici dello shock energetico intervenuto in corso d'anno, penalizzando soprattutto le famiglie e le imprese meridionali, dovrebbero riaprire la forbice di crescita del Pil tra Nord e Sud». Secondo le stime del rapporto, il Pil dovrebbe crescere del +3,8% a scala nazionale nel 2022, con il Mezzogiorno (+2,9%) distanziato di oltre un punto percentuale dal Centro-Nord (+4,0%). L'aumento dei prezzi di energia elettrica e gas si traduce in un aumento in bolletta annuale di 42,9 miliardi di euro per le imprese industriali italiane. Ma c'è da mettere nel conto anche un sostanziale fallimento delle politiche attive per il lavoro. Nel Sud, per carenza di offerte di lavoro e per le inefficienze dei servizi per l'impiego, su una platea di circa mezzo milione di occupabili, solo 1 su 5 ha ricevuto un'offerta. E tra coloro che sono occupabili nel 2021 solo il 43% circa ha sottoscritto il Patto per il Lavoro (il 50% al Nord e il 40% al Sud) e di questi meno della metà ha ricevuto un'offerta.
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E che dire della corsa dell'inflazione che potrebbe spingere 760mila persone sotto la soglia di povertà? La Svimez valuta che «a causa dei rincari dei beni energetici e alimentari l'incidenza delle famiglie in povertà assoluta potrebbe crescere di circa un punto percentuale salendo all'8,6%». Ultima, ma non meno importante considerazione, il reddito di cittadinanza, il cui baricentro è proprio al Mezzogiorno. Senza di esso, il blocco dei licenziamenti e gli ammortizzatori sociali in deroga, le famiglie povere in Italia sarebbero state quasi 2,5 milioni, circa 450 mila in più rispetto al 2020 «cui corrispondono oltre un milione di persone in meno in condizione di povertà assoluta, di cui due terzi circa nel Sud». Senza queste erogazioni le famiglie in povertà assoluta sarebbero state il 9,4% anziché il 7,7%, l'incidenza perle persone sarebbe aumentata all'11,1% anziché fermarsi al 9,4%.
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