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Coi governi del Pd c'è meno lavoro

Christian Campigli
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La sinistra ama talmente i poveri che quando va al potere li aumenta di numero. Una frase rimasta nella storia, quella pronunciata più di venti anni fa dal decano del giornalismo italiano, Indro Montanelli. Una massima che, almeno a giudicare dall’approfondito report realizzato da Open Polis, si può applicare anche ai disoccupati. Il portale della fondazione presieduta da Vittorio Alvino ha messo a confronto il numero di lavoratori in Europa tra il 2012 e il 2021. In tutti i grandi paesi della Ue il tasso di occupazione è lievemente aumentato in questo decennio, pur subendo il temporaneo impatto della pandemia e del lockdown (soprattutto nel caso di Germania e Spagna). L’Italia riporta il dato più basso nel 2021, mentre la Spagna, che deteneva il record negativo nello scorso decennio, ha registrato l’aumento più marcato (un sensibile più sette punti percentuali nel corso del decennio). In Francia e Germania si è verificato invece un’impennata pari rispettivamente a 2,8 e 3,8 punti percentuali. L’incremento in Italia si è fermato invece al 2,1%, fanalino di coda dell’Europa assieme alla Svezia.

Si tratta di un dato che deve far riflettere, perché, salvo la breve parentesi del governo giallo-verde, in questo lasso temporale ha sempre governato il Partito Democratico. Le ricette della sinistra per aumentare l’occupazione, evidentemente, non sono efficaci. O, quantomeno, non lo sono più. Enrico Letta, in un comizio tenuto a Taranto durante la campagna elettorale dello scorso settembre, promise novecento mila nuove assunzioni nel settore pubblico. Tagliare le tasse alle imprese private che assumono? Idee di destra, gli imprenditori vanno tartassati. Meglio una bella infornata nei vari uffici regionali, della motorizzazione e del catasto. Una mentalità che, dati alla mano, non è ha dato i risultati sperati.

Ma l’analisi di Open Polis ci racconta molto altro sul nostro Paese. I numeri riportati descrivono, ancora una volta, una nazione spaccata a metà, tra nord e sud. L’Italia si caratterizza per una marcata disomogeneità da regione a regione. Mentre nel Mezzogiorno si evidenziano alcuni dei dati più bassi d’Europa, lo stesso non si può dire del Settentrione. Nonostante ciò, i numeri di Lombardia e Veneto restano comunque distanti da quelli del nord Europa. Tra la Sicilia e la provincia autonoma di Bolzano (che detiene il record italiano) c’è una differenza di quasi trenta punti percentuali. Si tratta però dell’unica regione insieme all’Emilia-Romagna (68,5%) che supera la media europea. Tutte le altre diciannove si trovano al di sotto, con ben nove regioni che non arrivano al 60%. Mediamente, nel Vecchio Continente nel 2021 risulta occupato il 68,4% della forza lavoro. Una quota che nell’arco di un decennio è cresciuta di circa sei punti percentuali (nel 2012 si attestava al 62,6%). I Paesi Bassi registrano la quota più elevata (80,1%). Seguono Germania (75,8%) e Danimarca e Malta (entrambe con il 75,5%). Agli ultimi posti invece Grecia (57,2%), Italia (58,2%) e Romania (61,9%). A livello regionale, la quota più elevata la riporta la regione finlandese dell’Åland, con un tasso di occupazione pari all’84,2%. Un valore più che doppio rispetto a quello della Sicilia, che detiene invece il record negativo a livello europeo. Seguono per tasso più contenuto la Campania (41,3%), il territorio oltremare francese della Guyana (41,4%) e la Calabria (42%).
 

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