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Zingaretti, dimissioni vicine. Pd alle strette

Susanna Novelli

Settimana decisiva per il destino politico del Lazio. Si comincia oggi con la discussione in Consiglio regionale del «collegato» al Bilancio, ultimo atto della legislatura decennale targata Nicola Zingaretti. Il voto definitivo della Pisana potrebbe arrivare già domani e le dimissioni del governatore dem, eletto alla Camera dei Deputati il 25 settembre, sono attese al massimo entro il 10, giorno della relazione annuale della Corte dei conti. Il condizionale è d'obbligo considerato che il presidente della Regione uscente ha più volte spostato la data dell'addio al palazzone di via Cristoforo Colombo. Sul piatto del resto le candidature per le elezioni che si dovrebbero svolgere entro la prima metà di febbraio.

A complicare le trattative in casa Dem non solo la difficoltà oggettiva a replicare «il campo largo», ovvero quell'alleanza Pd, Cinquestelle, Terzo Polo e Sinistra, che ha consentito a Zingaretti di governare negli ultimi due anni e mezzo, ma anche le numerose, e crescenti, criticità interne. All'appello di una parte non secondaria dei Dem - Base Riformista - a un intervento concreto del partito nazionale sulle questioni regionali, sopraggiunto dopo le parole di Zingaretti che di fatto «scaricavano» il candidato in campo da giugno, Alessio D'Amato, ha risposto ieri in un lungo post sui social lo stesso governatore uscente.

  

Dopo aver ribadito di non aver espresso critiche o attacchi all'assessore alla Sanità da lui scelto, attacca: «Il mio unico obiettivo da sempre è costruire una coalizione la più ampia possibile e vincere. Questo si ottiene con il confronto plurale e solidale non con i dicktat o le imposizioni per scegliere in piena libertà e autonomia la candidatura che insieme si riterrà più competitiva. L'unità è il sentimento prevalente di tutto l'elettorato del centrosinistra ma l'unità va costruita, non imposta. Vorrei dunque consigliare ad alcuni professionisti della sconfitta di tacere perché fanno solo danni, producono divisioni e poi sconfitte e poi copiose analisi sul perché abbiamo perso. Ora è il tempo delle scelte. Bisogna farle con spirito unitario e nelle forme più utili a costruire le condizioni per la vittoria cosi come è stato in questi ultimi 15 anni».

Il problema tuttavia è duplice. Dopo dieci anni di governo del Lazio il centosinistra ha bisogno di allearsi con i Cinquestelle per poter almeno giocarsi una partita altrimenti, ad oggi, persa a tavolino, colpevole anche l'assenza di grandi progetti realizzati. IlTerzo Polo, tuttavia, potrebbe presto ufficializzare nel Lazio la stessa strada intrapresa in Lombardia, candidando proprio Alessio D'Amato. A quel punto il Pd, che ha chiesto ai Cinquestelle di prendere in fretta una posizione chiara, si potrebbe ritrovare con un candidato non suo. Il vicepresidente della Regione, Daniele Leodori ha già annunciato che in assenza di un accordo con il «campo largo» che governa oggi il Lazio non è disposto a correre. Un candidato civico, come chiesto dal partito di Conte, rischierebbe a questo punto di travolgere il Pd che già a Roma e nel Lazio ha registato una sonora sconfitta alle politiche del 25 settembre. Tutti nodi da sciogliere in fretta. In molti infatti hanno legato il rinviare delle dimissioni di Zingaretti alla scelta del candidato a succedergli. Un passaggio di testimone che rischia tuttavia di saltare.