la sfida delle piazze

Vogliono la pace ma si fanno la guerra: la sinistra è divisa pure sull’Ucraina

Dario Martini

Il Terzo polo che scippa "Bella ciao" al Pd rende bene l'idea del caos che regna a sinistra. È Carlo Calenda a dare il via dal palco, al termine del suo intervento, alla canzone simbolo della resistenza partigiana. In questo caso la resistenza è quella dell'Ucraina contro l'invasione russa. Il leader di Azione gongola: «Adesso siamo noi titolati a cantarla». E tutta la piazza all'Arco della Pace a Milano lo segue intonando le parole tanto care ad Enrico Letta e compagni. Il senso della manifestazione è sicuramente quello di dimostrare vicinanza e sostegno al Paese guidato da Volodymyr Zelensky, ma è anche l'occasione per sottolineare quanto siano distanti dalle posizioni espresse dai 5 Stelle di Giuseppe Conte. Ma anche dal Partito democratico, che insegue i pentastellati cercando di non contraddirsi, dal momento che si è sempre dichiarato fortemente atlantista. A differenza del corteo di Roma, dove sfilano sia Conte che Letta, a Milano le uniche bandiere presenti sono quelle gialle e blu dell'Ucraina. Lo slogan dice tutto: «Slava Ukraina», saluto nazionale che significa «Gloria all'Ucraina», in genere accompagnato dalla risposta «Gloria agli eroi». Insomma, non c'è spazio a dubbi: bisogna continuare a sostenere l'esercito ucraino senza se e senza ma. Perché «se la Russia smette di combattere, non ci sarà più guerra, mentre se l'Ucraina smette di combattere, non ci sarà più l'Ucraina». Quindi, netto rifiuto ad interrompere le forniture di armi a Kiev come chiede la piazza di Roma capeggiata dal leader del M5S.

Ettore Rosato, presidente di Italia Viva lo attacca frontalmente: «A Conte che come sempre specula dico che siamo tutti contro la guerra, a nessuno piace mandare armi. Lo facciamo perché il popolo ucraino è vittima di un'aggressione ingiustificabile. Solo gli amici di Putin, i codardi e gli opportunisti si voltano dall'altra parte». Tra i politici in piazza si segnalano, oltre quelli del Terzo polo, anche l'ex assessore al Welfare della Regione Lombardia, Letizia Moratti, che il Terzo polo vuole candidare governatore, e Pierferdinando Casini. Ma anche il sindaco di Bergamo Giorgio Gori del Pd. Ad alimentare la polemica a distanza con il M5S è soprattutto Calenda: «Conte è stato con Salvini quando era putinista, è filo trumpiano, ha firmato la via della seta con i cinesi e poi ha deciso che è progressista. Adesso ha deciso che è pacifista, domani deciderà che è comunista e tra quattro giorni diventerà nazionalista. C'è una definizione per Giuseppe Conte: si chiama qualunquismo, e nella cultura italiana il qualunquismo è di destra, non c'entra niente con la sinistra». Poi un messaggio indirizzato a Letta, che ha preferito sfilare al corteo di Roma: «Qui a Milano sarebbe stato applaudito e nessuno lo avrebbe contestato, perché se c'è una cosa che va riconosciuta a Enrico Letta è la totale linearità sulla questione ucraina». Mentre Matteo Renzi preferisce smorzare i toni: «Credo che si debba sempre rispettare le idee di tutti, ma è stata una bella scelta quella di Calenda di convocarci qui, un dovere per tutti di combattere per una pace giusta. Non voglio polemizzare con le altre piazze, è assurdo farlo come ha fatto questa mattina Conte. Penso di dover dire che non c'è pace senza giustizia». 

  

 

 

In trentamila hanno partecipato alla manifestazione di Roma organizzata dalla piattaforma "Europe for peace". Ad indirla sono stati i sindacati Cgil, Cisl e Uil, l'Arci, l'Acli, l'Anp, la comunità di Sant'Egidio, l'associazione Libera, Emergency, Sbilanciamoci e l'Aoi. Lo slogan ufficiale era: «Cessate il fuoco subito, negoziato per la pace». Non poteva passare sottotraccia la presenza dei politici. Soprattutto quella del capo grillino Giuseppe Conte, che è riuscito ad intestarsi la "paternità" di una piazza che chiedeva a gran voce lo stop all'invio delle armi a Kiev. Saltava subito all'occhio, infatti, la quasi totale assenza di bandiere ucraine. Le uniche a sventolare erano quelle arcobaleno della pace. Il contemporaneo corteo organizzato dal Terzo polo a Milano ha fatto sì che risaltasse in tutta evidenza la netta contrapposizione tra le due manifestazioni. Una dichiaratamente contraria al riarmo ucraino, l'altra apertamente a favore. Non a caso ad andare in grande difficoltà è stato Enrico Letta, da sempre convinto sostenitore dell'appoggio militare a Zelensky. Il segretario del Pd ha provato a spiegare la sua linea: «Sono qui in silenzio, marciando, come credo sia giusto fare in questo momento. Per la pace, per l'Ucraina, perché finisca questa guerra, perché finisca l'invasione della Russia». I fischi e gli insulti sono arrivati lo stesso. Alcuni manifestanti gli hanno gridato «assassino», «guerrafondaio». E ancora: «Via il Partito democratico dal corteo». Il segretario dem ha cercato di ammorbidire la sua posizione per farsi accettare anche da chi non lo voleva: «Quando arriverà il decreto del governo in Parlamento sull'invio delle armi a Kiev vaglieremo la proposta e se ne parlerà. Abbiamo sempre detto che lavoreremo in continuità con quello che si è fatto e in linea con le alleanze europee e internazionali di cui facciamo parte». Una mezza giravolta, dal momento che mai con il governo Draghi il leader del Pd si è azzardato ad insinuare il minimo dubbio ogni volta che andava votato il «decreto armi».

 

 

Molti di coloro che hanno sfilato da piazza della Repubblica a San Giovanni non erano affatto per la «continuità con le alleanze internazionali» ricordata da Letta. Tra i vari cartelli si potevano leggere slogan di questo tipo: «Né con Putin né con la Nato», «I fascisti sono atlantisti, ora e sempre servi della Nato», «Noi non vogliamo la guerra, no alle armi, no alle sanzioni, dove è finita la diplomazia». Non passava inosservato neanche il manifesto con il volto di Mattarella e la scritta: «Presidente l'Italia ripudia la guerra, cosa è che non capisce di queste parole?». Insomma, il luogo ideale per l'opposizione di Conte. «Nel caso di un nuovo invio di armi a Kiev il governo deve venire in parlamento e metterci la faccia - ha detto il leader del M5S - deve spiegare perché vuole perseguire una strategia che non ha vie d'uscita». Poi la stoccata a Calenda e agli altri che hanno manifestato a Milano: «Non ho capito se quella piazza è per la pace o per la guerra». Unico deputato renziano presente era Roberto Giachetti: «Non lascio la pace in mano a Conte e ai "pacifisti equidistanti". Due settimane fa sono andato a portare solidarietà all'ambasciata ucraina, poi sono andato alla manifestazione a favore di Kiev sotto l'ambasciata russa e per questo oggi sono qui, avendo così chiarito che per me c'è un invasore, la Russia, e delle vittime, gli ucraini. E che non c'è pace senza il ritiro dei russi».

 

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