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Governo, numeri in bilico in Senato. Così la maggioranza è a rischio

Christian Campigli
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Trattative estenuanti, tra pretese improbabili, nomi impresentabili e un equilibrio difficile da trovare. Giorgia Meloni non ha perso la calma e, nei tempi che si era prefissa, è riuscita a nominare viceministri e sottosegretari. Tra qualche mal di pancia e molti sorrisi, ha allestito un gruppo «utilizzando criteri di esperienza parlamentare oltre che nel settore specifico». Una squadra di trentanove elementi, che giurerà quest'oggi la propria fedeltà al Paese e alla Costituzione. La partita dei cosiddetti sotto incarichi rischia però di lasciare notevoli strascichi all'interno della maggioranza. Il motivo principale di certi dissapori è legato all'utilizzo dei senatori eletti, diciannove in tutto, all'interno della squadra di governo. Si tratta, nello specifico, di nove ministri (Elisabetta Casellati, Matteo Salvini, Anna Maria Bernini, Luca Ciriani, Adolfo Urso, Roberto Calderoli, Nello Musumeci, Daniela Santanchè e Paolo Zangrillo) e ben dieci tra viceministri e sottosegretari (Isabella Rauti, Andrea Ostellari, Claudio Barbaro, Francesco Paolo Sisto, Patrizio La Pietra, Alessio Butti, Giovanbattista Fazzolari, Claudio Durigon, Lucia Borgonzoni, Alberto Barachini). Una scelta coraggiosa, dettata sia dalla qualità dei nomi prescelti, sia dalle mille pretese da parte degli alleati (Forza Italia in primis). Una valutazione che però fa abbassare l'asticella dei voti sempre fruibili nella Camera Alta del nostro Parlamento, che passano da 116 a 97. Sotto la soglia di allarme.

 

 

Va ricordato che rarissimamente volte le due ali del Parlamento sono piene in ogni ordine di grandezza. Qualche defezione, per motivi lavorativi, per scelte politiche o, più semplicemente, per le più classiche malattie invernali, viene sempre registrata. Senza dimenticare i senatori a vita, presenti quasi esclusivamente in caso di leggi di grande importanza. Il vero problema si potrebbe registrare all'interno delle Commissioni, i cui presidenti verranno scelti al termine della prossima settimana. Luoghi deputati alla discussione prima e alla stesura poi delle leggi. Qui il rischio che i moderati possano andare sotto è concreto. Una prospettiva tutt'altro che positiva, soprattutto per chi, come Giorgia Meloni, ha la pretesa di far coincidere la durata del proprio governo con quella della legislatura. Un clamoroso errore di valutazione, la voglia di convivere col brivido prima dell'approvazione di ogni singolo provvedimento e, più semplicemente, la consapevolezza che presto entrerà un altro soggetto nella maggioranza?

 

 

Ieri i rumors su quest'ultima, clamorosa ipotesi, si sono moltiplicati senza sosta. Inutile sottolineare come la stampella dell'esecutivo sarebbe rappresentata dal Terzo Polo. «Nei giorni scorsi c'è stato un incontro, in Toscana, tra Matteo Renzi e Daniela Santanché - ci racconta un eletto di Italia Viva - è stata espressamente chiesta la disponibilità ad entrare nel governo, inizialmente con un appoggio esterno. Non posso sbilanciarmi oltre, dico solo che la porta non è chiusa e che la trattativa potrebbe andare avanti. Chi vivrà, vedrà». Non va dimenticato che l'ex sindaco di Firenze, durante il dibattito sulla fiducia, aveva mostrato, soprattutto sulle riforme costituzionali in senso semi presidenzialista, un evidente interesse. Oggi questa nuova, clamorosa ipotesi. Che, ben intenso, renderebbe assai più fluido il lavoro del parlamento. Non ci sarebbe l'ansia degli assenti, del voto dei senatori a vita o di certi, possibili sgambetti interni ai moderati. Un messaggio, nemmeno troppo velato, indirizzato ai molti falchi presenti all'interno di Forza Italia.

 

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