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Regione Lazio: alleanze, congresso e candidato. Il Pd si gioca il futuro

Daniele Di Mario
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Una partita nella partita. Le elezioni regionali nel Lazio - molto più che quelle in Lombardia-s' inseriscono nel dibattito congressuale del Partito democratico e sono destinate, qualsiasi ne sia l'esito, a segnare un primo punto di non ritorno. In Regione i Dem governano da dieci anni con Nicola Zingaretti che, eletto alla Camera, si dimetterà entro qualche settimana e non si ricandiderà. Da due anni nella maggioranza di centrosinistra è entrato anche il M5S, che alla Pisana governa con Pd, sinistra civica, Demos e i consiglieri del Terzo polo di Renzi e Calenda. Un campo largo che sinora ha funzionato, ma che di fatto è stato squassato dalla fine del governo Draghi.

La scelta del candidato alla successione a Zingaretti diventa quindi un tema nazionale. Con quale alleanza il Pd si presenterà alle elezioni regionali, alle quali il centrodestra dopo il successo alle politiche si presenta strafavorito? La questione è inevitabilmente legata al congresso. Il governatore dell'Emilia Romagna Stefano Bonaccini e il sindaco di Firenze Dario Nardella sono usciti allo scoperto, pronti a presentare una mozione che guarda all'alleanza con il Terzo polo. Più probabile che sia Bonaccini, sostenuto dagli ex renziani di Base riformista, che Nardella il candidato segretario.

Dall'altra parte c'è il ministro Andrea Orlando - sostenuto dalla sinistra e da Francesco Boccia - che punta invece all'alleanza progressista con il M5S di Giuseppe Conte. Della partita congressuale poi potrebbero far parte anche il sindaco di Pesaro Matteo Ricci e la vicepresidente dell'Emilia Romagna Elly Schlein. Il futuro del Pd dipende da chi vincerà il congresso, con Dario Franceschini e AreaDem che guardano più dalla parte di Bonaccini che a quella di Orlando.

Il Nazareno deve scegliere: o Conte o Calenda e Renzi. Tenerli tutti e due insieme è impossibile. I liberaldemocratici non vogliono saperne del M5S. E viceversa. Ciascuna scelta comporta dei rischi, con l'alta probabilità che da qui alle elezioni europee 2024 5 Stelle e Terzo polo crescano togliendo voti al Pd. Tanti voti. La crisi Dem è politica, ma soprattutto sociale. Conte parla ai progressisti e tocca temi come lavoro e ambiente. Il Terzo polo rappresenta la ricetta liberale per chi non è di destra né di sinistra.

E il Pd a chi parla? Qual è lo spazio dei socialdemocratici nel futuro della politica italiana? Sono queste le domande a cui la dirigenza democratica deve rispondere. I nomi vengono inevitabilmente dopo. Ma di nomi si parla da mesi per la Regione Lazio. Si sono candidati da tempo il vicepresidente Daniele Leodori e l'assessore alla Sanità Alessio D'Amato. Calenda ha battezzato da tempo quest'ultimo, ma se il Terzo polo dovesse andare da solo come suggerisce l'opportunità politica: troppo ghiotta l'occasione per svuotare il Pd-il candidato potrebbe essere il renziano Luciano Nobili, anche se Calenda propende per D'Amato che farebbe breccia nell'elettorato dem romano.

Di Leodori il leader di Azione non vuol neanche sentir parlare. Il vicepresidente della Regione è forte dell'intesa con le assessore M5S Roberta Lombardi e Valentina Corrado, ma su di lui Conte non chiuderà mai, anche perché i pentastellati romani e laziali da tempo hanno preso le distanze sia da Lombardi che da Virginia Raggi e consigliano al capo politico di andare da solo.

Per gli stessi motivi del Terzo polo: lanciare un'Opa sugli elettori del Pd, che rischierebbe una debacle alle elezioni regionali. Oltretutto Leodori è di AreaDem, la corrente di Franceschini che guarda a Bonaccini. Con Letta ancora segretario, le scorie della caduta del governo Draghi mai smaltite e il vicepresidente del Lazio in campo Conte sarebbe costretto ad andare da solo. Se il Pd andasse da solo, lo farebbe con un'alleanza che andrebbe dai rosso-verdi a una lista civica d'ispirazione moderata.

Leodori resta in pista come candidato presidente, ma in queste settimane le fibrillazioni post-elettorali hanno portato a galla altre possibili candidature trai delusi sconfitti nei collegi uninominali. Un nome su tutti: Monica Cirinnà. I malumori degli ex parlamentari non rieletti sono deflagrati, così come le ruggini per il caso-Ruberti scoppiato a agosto e per la composizione delle liste. Ma il Nazareno potrebbe puntare anche su un profilo nazionale come Marianna Madia. O - ipotesi molto più remota - lo stesso D'Amato. Sullo sfondo resta naturalmente l'ipotesi di Enrico Gasbarra, ma solo se ci fosse un quadro unitario o di emergenza.

Nel Pd romano e laziale poi c'è chi non manca chi fa notare il pessimo risultato elettorale non tanto e non solo nella Capitale, quanto più nell'hinterland e nelle province, con il segretario laziale Bruno Astorre criticato da Base riformista, ma anche damanciniani e zingarettiani. Nel Pd non manca chi guarda alla mozione Orlando e punta all'intesa con Conte nel Lazio.

Claudio Mancini, il sindaco Roberto Gualtieri, Goffredo Bettini fanno parte di questo schieramento. Con Zingaretti - primo fautore del campo largo defilato, anche perché i suoi rapporti col capo politico del M5S si sono raffreddati da quando l'ex segretario disse, dopo la crisi di governo, che Conte non rappresenta un riferimento per i progressisti. Anche la compagine zingarettiana, con il presidente prossimo alle dimissioni e ormai a Montecitorio (dove non verrà eletto vicepresidente della Camera), sembra tutt'altro che coesa.

Per aprire a un'intesa, Conte prenderebbe in considerazione un soggetto terzo, un civico non di partito. Un profilo come quello di Federico Cafiero De Raho. Ma Letta e i dirigenti dem nazionali lo accetterebbero? E il Nazareno ne avrebbe la forza, con il congresso programmato per la primavera, cioè dopo il voto regionale? Con l'accordo con i 5 Stelle molto lontano, l'impressione è che il Pd stia cercando il modo più onorevole per gestire una probabile sconfitta e salvare il salvabile. All'elezione in Consiglio regionale puntano sia gli uscenti sia tanti ex parlamentari non rieletti. In caso contrario Gualtieri si troverebbe costretto a gestire un ufficio di collocamento, più che il Campidoglio. E un rimpasto di giunta non basterebbe. 

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