La svolta di Salvini, da mediatore riesce a ricucire lo strappo nel centrodestra
Salvini di Pace e di Governo. Sullo sfondo del braccio di ferro tra Giorgia Meloni e Silvio Berlusconi, che ha tenuto banco (almeno si spera) fino a ieri, si delinea una nuova postura osservata dal segretario della Lega in queste settimane di gestazione per l’Esecutivo. A volte bastano due righe a suggellare un cambio di atteggiamento. Nel caso specifico, basta leggere la trascrizione delle sue parole pronunciate giovedì scorso, primo giorno di legislatura, entrando in Senato. «Se c’è da fare un passo di lato lo facciamo, vale per il Senato e vale per il governo, per partire presto e bene».
Dichiarazione arrivata nelle ore in cui andava maturando la prima svolta. La sera prima, infatti, era ancora in corso il derby tra il leghista Roberto Calderoli e l’esponente di Fratelli d’Italia Ignazio La Russa per la Presidenza di Palazzo Madama. All’ora del cappuccino, invece, l’accordo sanciva la convergenza anche della Lega sull’ex ministro della Difesa. Quelle parole, evidentemente pesate, però, suggellavano un cambio di ritmo anche sull’Esecutivo. Il ritorno al Viminale è sempre stato il suo obiettivo, strenuamente difeso per tutta la campagna elettorale e nei giorni successivi alle elezioni. Anche ieri sera, a Quarta Repubblica ha ripetuto: «Non nego che mi piacerebbe. Ho già fatto il ministro e lo rifarei volentieri».
E però, di fronte all’ipotesi (molto concreta) di una nomina del Prefetto di Roma Matteo Piantedosi ha spiegato: «È uno dei servitori dello Stato migliori che conosca. I decreti sicurezza li abbiamo scritti insieme». Quindi, niente più tiro alla fune con la leader di Fratelli d’Italia. Ma anzi, costanti e continue mozioni alla concordia a fronte della frattura che si era aperta tra questa e Silvio Berlusconi. Salvini «mediatore», sì, a scanso dei risolini dei commentatori progressisti che hanno visto nella circostanza l’ennesimo pretesto per attaccare. Così, da via Bellerio in questi giorni hanno fatto sapere che il leader è sempre stato in contatto con gli alleati. «Estremo ottimismo» filtrava domenica, in vista dell’incontro di ieri tra Meloni e Berlusconi, nell’ottica di un «obiettivo comune», ossia «rispondere alle aspettative degli italiani, con buonsenso, responsabilità e serietà».
E ancora un Salvini «ottimista e determinato», trapelava ancora ieri mattina dai leghisti, nell’ottica della risuluzione del dissidio foriera della nascita di un governo forte. E anzi, mentre l’attenzione mediatica e dell’opinione pubblica convergeva su via della Scrofa, la sua agenda prevedeva una giornata passata a studiare i dossier economici, per poi fare il punto della situazione con Giorgetti, Calderoli, i capigruppo uscenti Romeo e Molinari, e Durigon. Con quest’ultimo, si specifica, ha analizzato il tema pensionistico «con l’obiettivo di superare la legge Fornero». Che sia o meno un espediente tattica per vestire i panni del terzo tra i due litiganti, che da tutto questo possa derivare una casella ministeriale in più, va comunque riconosciuta un’evoluzione. Che, contrariamente al racconto prevalente dei detrattori, gli appone il timbro di «forza di stabilità».