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Polveriera Pd: ipotesi scissione o scioglimento. Toto segretario, resta lo stato confusionale

Daniele Di Mario
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Rosy Bindi vorrebbe scioglierlo: il congresso è un accanimento. Per Roberto Morassut, invece, il Pd dovrebbe chiamarsi semplicemente «Democratici». Per l'anziano Achille Occhetto la «cosa» viene prima del nome. Per Debora Serracchiani è necessaria una «leadership che sappia trascinare». Eppure, quando l'ha avuta (Veltroni, Renzi), il Pd se ne è liberato volentieri. La debacle elettorale e le conseguenti dimissioni del segretario Enrico Letta (che resterà comunque come traghettatore fino al congresso previsto a marzo) hanno mandato in tilt la dirigenza Dem. Il Nazareno è in preda all'ennesimo psicodramma. Correnti in fibrillazione, donne adirate perché le quote rosa Pd nel nuovo Parlamento raggiungono a malapena il 30%, Dario Franceschini in silenzio da settimane, malumori per le liste elettorali. E, come se tutto ciò non bastasse, fioccano le candidature e le autocandidature al congresso, praticamente una per corrente: Stefano Bonaccini, Andrea Orlando, Paola De Micheli, Matteo Ricci, Elly Schlein. Ed è solo l'inizio: chissà quanti se ne aggiungeranno. Tanto che più che un congresso sembra un reality show, col Nazareno pronto a diventare la casa del Grande Fratello.

 

 

Ovviamente, ogni mozione congressuale ha la sua linea politica. Orlando rilancia il campo largo con il M5S. Bonaccini guarda a Calenda e Renzi. Tutto è in discussione, insomma, dal nome e dal simbolo fino all'identità stessa del Partito Democratico. Enrico Letta illustra agli iscritti, prima ancora che ai dirigenti dem, il percorso del congresso chiamato a riformare il partito dalle fondamenta. E già questo è un segnale di quanto il congresso sarà aperto all'esterno, a cominciare dalle forze politiche, come Articolo Uno e Democrazia Solidale, che hanno partecipato alla Lista Italia Democratica e Progressista. In una lettera il segretario annuncia un congresso in quattro fasi che comincia con una «chiamata» a tutti quelli che vogliono essere protagonisti di questa fase. «Abbiamo bisogno di un vero Congresso Costituente», premette Letta. «Per questo vi chiedo di partecipare con passione e impegno, accanto ad altri che spero vorranno raggiungerci per fare insieme un percorso che, come proporrò alla Direzione convocata per la prossima settimana, dovrebbe essere articolato in quattro fasi», spiega il segretario. La prima fase «sarà quella della "chiamata". Durerà alcune settimane perché chi vuole partecipare a questa missione costituente, che parte dall'esperienza della lista Italia Democratica e Progressista, possa iscriversi ed essere protagonista in tutto e per tutto». Un mese per raccogliere le forze, un periodo lungo abbastanza da tracciare il solco che delimiterà il nuovo Pd.

 

 

La seconda fase del congresso Pd «sarà quella dei "nodi". Consentirà ai partecipanti di confrontarsi su tutte le principali questioni da risolvere: l'identità, il profilo programmatico, il nome, il simbolo, le alleanze, l'organizzazione». Segue la terza fase, «quella del "confronto" sulle candidature». Non un casting, ma «una selezione per arrivare a due candidature tra tutte, da sottoporre poi al giudizio degli elettori». Un «doppio turno» che mira a dare maggiore forza e rappresentanza al segretario o alla segretaria che verrà. «Infine, la quarta fase, quella delle primarie. Saranno i cittadini a indicare e legittimare la nuova leadership attraverso il voto». Letta punta a rinnovare il partito nella sua organizzazione interna e, soprattutto, nel gruppo dirigente, con l'ingresso di volti nuovi e forze fresche. Una impostazione che riceve il plauso da una larga parte di dirigenti e deputati: Debora Serracchiani, Goffredo Bettini, Piero Fassino, Matteo Ricci. Non mancano, tuttavia, le voci dissonanti. Lia Quartapelle, esponente della segreteria Letta, vede nelle parole del segretario la volontà di «cambiare il nome per non cambiare nulla». Monica Cirinnà dice che giovedì prossimo in direzione voterà contro. La resa dei conti è solo all'inizio.

 

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