le colpe del voto
Il Pd continua a commettere colossali errori: tutta colpa di Letta e degli elettori
Una sconfitta roboante, netta, perentoria. Perché quando perdi, rispetto a cinque anni prima, un milione di elettori, un'analisi senza compromessi è doverosa, necessaria, indispensabile. Non solo per poter sperare di tornare a vincere, ma anche per la sopravvivenza stessa del movimento. Una prassi che, evidentemente, è sconosciuta al Partito Democratico. In questi tre giorni è intervenuto, sui social come in tv o sulla carta stampata, anche Cetto La Qualunque per dire la propria. Dal consigliere comunale di Reggiolo all'ottantenne che trascorre le proprie giornate alla Casa del Popolo di Loro Ciuffenna, dal militante di Bordighera al deluso di Trani. Ma dai vertici, da chi dovrebbe tenere la barra dritta in questa difficile traversata, sono emersi solo tre concetti. Uno più bislacco del precedente.
Punto primo: la colpa è tutta di Enrico Letta (che, beninteso, ne ha azzeccate davvero poche in questa campagna elettorale, ad iniziare dalle alleanze). Il segretario pisano si dimette, torna a Parigi e il Pd vola al 40%. Primo colossale errore. Il più importante movimento di sinistra va rifondato, dalle viscere. Non basta più ammiccare ai professori universitari o agli architetti radical chic. La platea va allargata. Con idee, proposte e facce nuove. Secondo punto: gli elettori non ci hanno capito. Errore da matita rossa. Se il messaggio politico non passa, la colpa è sempre del candidato, mai di chi vota. Infine, il terzo punto: il governo di Giorgia Meloni durerà sei mesi e noi, così come negli ultimi dieci anni, torneremo a guidare l'Italia, in un esecutivo tecnico o di unità nazionale.
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Se possibile, questa sarebbe la peggior sciagura possibile per chi ama il partito che fu di Enrico Berlinguer. Riprendersi il potere, senza passare dal consenso popolare, sarebbe il colpo finale ad un movimento già profondamente ferito. Lo trasformerebbe, definitivamente, in una congrega, unita solo per la gestione del potere, delle poltrone, delle nomine. E non per la difesa e la tutela dei lavoratori, degli ultimi, di chi vive in una casa popolare. Un elettorato che, ormai da molti anni, ha voltato le spalle alla sinistra e ha deciso di dare fiducia alla destra, berlusconiana prima, salviniana poi e, adesso, meloniana.