politica in lutto
Addio a Virginio Rognoni, l'ex ministro Dc dalla lotta alla mafia al manifesto per l'Ulivo
È morto, all’età di 98 anni, l’ex ministro della Democrazia Cristina Virginio Rognoni. «Apprendo la notizia della scomparsa di Virginio
Rognoni, protagonista sempre in positivo di tante stagioni importanti della vita istituzionale del nostro Paese. Un grande amico e un punto di riferimento. Un abbraccio affettuoso alla sua famiglia», scrive su twitter il segretario Pd Enrico Letta.
Esponente storico della Democrazia cristiana, alla guida del ministero dell’Interno consecutivamente dal 1978 al 1983, dopo le dimissioni di Cossiga al termine del tragico epilogo del rapimento di Aldo Moro, Virginio Rognoni fu uomo della sinistra del partito, vicino a Zaccagnini, assertore convinto della laicità della politica, fu poi critico verso la leadership di De Mita e della politica del pentapartito, aderendo poi al partito democratico e divenendo vicepresidente del Csm.
Rognoni era nato a Corsico, in provincia di Milano il 5 agosto del 1944, studente del prestigioso collegio Ghislieri, dopo la laurea in giurisprudenza nel 1947 e l’esperienza da borsista alla Yale University, in Usa, intraprese la carriera accademica, divenendo Professore di Istituzioni di diritto processuale a Pavia. Dopo la gavetta politica, da amministratore scudocrociato al Comune di Pavia, negli anni ’60,
Rognoni, nel 1968, arriva a Montecitorio, dove siederà ininterrottamente nei banchi della Dc, fino al 1994. Molti gli incarichi di governo: dal 1978 al 1983 è stato ministro degli Interni negli esecutivi Andreotti, Cossiga, Forlani, Spadolini e Fanfani. Erede al Viminale di Francesco Cossiga, è lui che guida il ministero degli Interni nella fase più cruenta della lotta al terrorismo, subito dopo la fine di Aldo Moro, ucciso dalle Br.
Al Viminale saranno cinque anni densi di avvenimenti e anche di episodi controversi, dalle accuse alle forze antiterrorismo per le presunte torture ai brigatisti rapitori del generale della Nato, l’americano James Lee Dozier, alla vicenda della fuga in Francia di Marco Donat Cattin, figlio del ministro del lavoro, Carlo, accusato di banda armata e terrorismo, all’autorizzazione, a firma Rognoni, della pubblicazione del memoriale di Moro rinvenuto a via Montenevoso.
Rognoni, fu al Viminale durante la tragica estate del 1980, segnata dalle stragi di Ustica e della stazione di Bologna. Da ministro si impegnò anche nella lotta alla criminalità organizzata. Da titolare del Viminale firma, con Pio La Torre, la Legge 646 che porta nel codice penale il reato di "associazione mafiosa" e - su indicazione di Falcone e Borsellino - introduce la misura del sequestro dei beni per i mafiosi. Ministro di Grazia e Giustizia nell’87 nei governi Craxi e Fanfani. Ministro della Difesa nel sesto e settimo governo Andreotti, tra il 1990 e il 1992. Impegno, quest’ultimo, che gli tirò addosso le aspre critiche di parte della sinistra Dc. Con la stagione di "Mani pulite" ed il declino dei partiti della prima repubblica, di fronte alla diaspora democristiana,
Rognoni segue Martinazzoli aderendo al partito popolare italiano. È tra i dodici "saggi" che scrivono il manifesto dell’Ulivo nel 2007, approdando infine nel partito democratico.
Tra il 2002 ed il 2006, Rognoni ha rivestito la carica di vicepresidente e successivamente di componente del Consiglio Superiore della Magistratura. Tifosissimo della Juventus, squadra della quale non perdeva una partita, ebbe a dire una volta: «La Juventus ha vinto sempre, è il partito della maggioranza relativa, la squadra che ha più consenso, partito di governo».
«Addio a Virginio Rognoni, il gentiluomo della sinistra Dc, una delle figure più eleganti della storia democristiana» ha twittato il deputato Gianfranco Rotondi.