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A Bolzano Giorgia Meloni irrita gli autonomisti: “Chi odia il tricolore rinunci ai privilegi”

Claudio Querques
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È bastata una frase di Giorgia Meloni, una di quelle frasi che sfuggono al linguaggio comodo e sincopato degli ammiccamenti elettorali, per scatenare una mezza rivolta. Aver ricordato che l'autonomia in certi casi «è servita a tutelare alcuni e non altri», e averlo detto a Bolzano, ha risvegliato la vis polemica del segretario della Svp Philipp Achammer. Apriti cielo! Peggio ancora quando la leader di FdI ha aggiunto che «chi non ama il Tricolore farebbe bene a rinunciare ai milioni che arrivano da Roma». Parole sfuggite ai codici normalmente in uso in prossimità di elezioni, parole riverberate ai vertici di una comunità da sempre permalosa e gelosa della sua identità montana ma che all'altra comunità sono sembrate sacrosante. Ascoltarle e alzare le vecchie fortificazioni è stato un lampo, per chi cercava il casus belli poco meno di un riflesso condizionato.

 

 

«La base e l'origine della nostra autonomia è e rimane la tutela delle minoranza tedesca e ladina», è insorto un minuto dopo Achammer, «non c'è dubbio che i poteri legislativi e amministrativi speciali della Provincia di Bolzano siano stati utilizzati nell'interesse e a beneficio dell'intera popolazione ma l'uno non esclude l'altro». E a seguire l'invito del 37enne leader della Volkspartei rivolto alla presidente di FdI a riconsiderare quelle parole «partendo da una sincera elaborazione della storia della nostra minoranza». Poteva finire qui? Ovviamente no. Chi aveva interesse a soffiare sul fuoco ha preso al volo l'occasione. Al punto che Roberto Calderoli, uno che fiuta da lontano quando c'è puzza di bruciato, è subito intervenuto per stoppare sul nascere quello che stava per diventare un litigio monumentale. «Con la Lega al governo non ci saranno problemi per l'autonomia - ha garantito il senatore del Carroccio al Dolomiten - ma la tutela delle minoranze non deve portare a un monopolio della minoranza perché questo causerebbe delle controreazioni». Sulla questione è tornato anche il candidato del centrodestra nel collegio Bolzano-Bassa Atesina, Maurizio Bosatra dicendosi disponibile a fare da «ponte con i palazzi romani». Una scena popolata dunque da pontieri, pompieri, piromani. Perché in fondo non sono lontanissimi i tempi in cui gli Schutzen sudtirolesi, per l'esattezza nella primavera di 3 anni fa, per protesta coprirono il nome tedesco della segnaletica delle località altoatesine con la scritta «Dna-Seit 97 Deutsch nicht amtlich», che tradotto vuol dire «il nome tedesco non è ufficiale da 97 anni». Una provocazione che andava oltre l'utilizzo di una toponomastica bilingue celando vecchi e mai risolti rancori.

 

 

La provincia tirolese, da 48 anni, ovvero dall'approvazione del secondo statuto «a tutela della minoranza linguistica ladina e tedesca» approvato nel 1972, è un esempio compiuto di autonomia super-differenziata. Tradotto in moneta contante vuol dire svariati benefit. Qualche esempio: per ogni figlio un contributo di 200 euro al mese fino al compimento dei 3 anni, assegno che si somma a un contributo fisso che può variare, a seconda del reddito familiare, da 76 a 216 euro mensili, che per chi è sotto gli 80 mila euro annui, dura fino ai 18 anni di età. E ancora: molto prima che arrivasse il reddito di cittadinanza nella montuosa e spettacolare Provincia autonoma è stato introdotto il cosiddetto «reddito di inserimento». Parte da 785 euro e può arrivare a 1.675, (coppia con figlio e affitto a carico). Fino non molto tempo fa lo incassavano 3.500 altoatesini Requisito richiesto: essere residenti da almeno 5 anni. Ma non è finita: tasse più basse all'università; alloggi scontati per gli studenti; addizionale comunale Irpef azzerata o molto più bassa della media nazionale; aliquota Irap ridotta per le aziende; borse di studio per gli studenti meritevoli che decidono di trasferirsi fuori dalla Provincia o anche dell'amatissima Austria. A Bolzano, altro esempio eloquente, il costo complessivo, sommando Imis, Irpef regionale, Irpef comunale e Tari, è pari a 649 euro, a Trento è di 817 euro.

Trova radici insomma anche in questi numeri il presunto o reale incidente diplomatico che ha scatenato le ire di chi ha scelto di vivere per lo più in alta quota. Quella frase della Meloni sul Tricolore non era insomma uno sfogo dal sen fuggito. Prova ne sia che a sostenerla di lì a poco sono arrivate anche le considerazioni del commissario provinciale e candidato di Fdi Alessandro Urzì. Per il quale «aver sostenuto, come ha fatto Achammer, che "la base e l'origine della nostra autonomia è e rimane la tutela delle minoranze tedesca e ladina», senza fare alcun accenno al Trentino e alla specialità regionale, «è preoccupante». E che sia proprio la Svp, alleata del Patt (il partito ultra-autonomista trentino tirolese) a dichiarare nei fatti «sostanzialmente superflua» l'autonomia trentina «è grave». «Le carte messe in tavola dall'obmann Achammer sono un pugno nello stomaco - ha concluso Urzì- l'autonomia da tutelare è sola "cosa nostra", cioè di tedeschi e ladini, dimenticati i trentini». Che piaccia o meno autonomia per tutti o per nessuno, insomma.

 

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