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Schiaffi a Enrico Letta pure dalla Ue. Il Pd insiste: democrazia in pericolo con Giorgia Meloni

Pietro De Leo
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Niente, non c'è verso. Enrico Letta getta l'amo ma nessuno oltreconfine abbocca. C'è un minimo di fanfara della stampa internazionale liberal, tuttavia, nulla di paragonabile, almeno per ora, rispetto alle valanghe di strali e strepiti del passato. Dunque, mentre il leader dem grida al lupo al lupo, tra video in lingua straniera e interviste mirate, sugli sfaceli per la democrazia e la tenuta del blocco occidentale che si materializzerebbero con una vittoria del centrodestra (anzi «le destre» nella ligia neolingua piddina), il mondo va avanti. E, soprattutto, guarda all'Italia con il composto rispetto che si deve al fisiologico esercizio della democrazia (fuori di qui non è un caso eccezionale). Ieri, l'ultima dimostrazione. Un alto funzionario europeo è stato interpellato dai giornalisti sulla questione italiana in vista dei vertici Eurogruppo ed Ecofin. Alla domanda sull'esistenza di timori a fronte di una vittoria della probabile vittoria del centrodestra, ha risposto: «Le elezioni degli Stati membri vanno rispettate. L'Eurogruppo non fa speculazioni sull'esito del voto». E anzi, ha aggiunto che «sarebbe inappropriato per l'Unione europea prendere posizione». Dunque, equilibrio massimo. Nessuna allusione, manco velata. Nessuna, nemmeno minuscola, perifrasi a stigmatizzare forze che rappresentino discontinuità o si discostino dall'eurolirismo imperante. Enrico Letta infila nell'amo l'esca del suo racconto horror ma non tira su nulla. Nessun soccorso rosso. In un copione assolutamente consolidato in questa campagna elettorale.

 

 

C'è l'esempio Hillary Clinton, per dire. Papessa dei liberal di tutto il mondo, la cui parola vuol dire molto nonostante non sia attualmente calata nella pugna politica. La Grande Sconfitta di Donald Trump e dall'onda populista dei forgotten people nel 2016. Anche da quel versante, nulla di che. In una recente intervista al Corriere della Sera ha commentato così la possibilità che Giorgia Meloni possa diventare Presidente del Consiglio. «L'elezione della prima premier in un Paese rappresenta sempre una rottura con il passato, ed è sicuramente una buona cosa». Sottolineando: «Però poi, come per ogni leader, donna o uomo, deve essere giudicata per quello che fa. Non sono mai stata d'accordo con Margaret Thatcher, ma ho ammirato la sua determinazione. Chiaramente poi si votano le idee». Sacrosanto e rispettoso. Una lezione di stile alle femministe di casa nostra, per le quali la rottura del soffitto di cristallo va festeggiata solo se artefice ne è una del loro campo culturale. Anche qui, nessun incubo e nessun fantasma.

 

 

Così come dalle istituzioni americane. Per settimane la stampa di sinistra italiana ha alluso a chissà quali timori della Casa Bianca. A fine luglio, però, un portavoce del Dipartimento di Stato, parlando con Lapresse, sempre sul tema Belpaese, ha affermato: «Rispettiamo e sosteniamo il processo costituzionale italiano», in ogni caso «Stati Uniti e Italia sono stretti alleati con una forte partnership fondata sui valori condivisi della democrazia, dei diritti umani e della prosperità economica. Continueremo a lavorare insieme a stretto contatto». Messaggio recapitato da un'Amministrazione Democratica, molto più dei suoi emuli nostrani.

 

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