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Case popolari a Roma, ecco la beffa al Comune sui canoni d'affitto

Martina Zanchi
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Roma Capitale sta usando dati sul reddito degli inquilini delle case popolari vecchi di sette anni e questo comporta che i canoni che vengono pagati sono ancora quelli stabiliti in base al censimento del 2015. Se, ad esempio, nel frattempo la situazione economica di un assegnatario si è modificata, in meglio o in peggio, il Comune semplicemente non lo sapeva e per questo non ha potuto agire di conseguenza, aumentando oppure riducendo il canone, a meno che l’inquilino stesso non si sia autodenunciato. Sarebbe già assurdo così ma il vero paradosso è che, a disposizione, ci sarebbero informazioni più recenti che però non sono mai state utilizzate. Sono quelle raccolte con il censimento reddituale del 2017, avviato sotto l’amministrazione di Virginia Raggi e di cui si trova traccia sul sito web di Aequa Roma, con scadenza al 30 settembre 2020. 
«I dati ci sono, ma non sono stati lavorati», rivela Yuri Trombetti, consigliere Pd e presidente della commissione Patrimonio, che nelle scorse ore ha condiviso la sconcertante scoperta con gli altri commissari. Non è chiaro quale intoppo ci sia stato - «sembrerebbe un rimpallo tra la società e l’amministrazione dell’epoca», afferma Trombetti - ma è evidente che Roma Capitale potrebbe aver perso rilevanti introiti e che è ancora in colossale ritardo. A novembre 2021, infatti, è stata avviata una ulteriore verifica dei redditi (quella per il 2019) che deve ancora essere conclusa, così a metà agosto il dipartimento ha stabilito una nuova proroga fino al 31 dicembre. L’ente continua però ad arrancare, visto che si parla ancora di dati vecchi di tre anni. Di mezzo c’è stata la pandemia che, oltre al tragico bilancio di vite umane perse, ha spazzato via anche posti di lavoro. Pensare che i censimenti dovrebbero essere eseguiti ogni due anni, proprio per far sì che i canoni versati dagli assegnatari siano il più possibile aderenti al loro reddito.

L’amministrazione, tuttavia, ha in programma grosse novità. «Quest’anno introduciamo due piccole rivoluzioni - rivela il consigliere dem - la prima è che il censimento reddituale sarà aperto anche agli occupanti e a chi è in attesa della voltura del contratto». Questa modifica «ci permetterà di capire chi c’è dentro le nostre case, dato che ad oggi per gli abusivi e per coloro che hanno richiesto la volturazione sostanzialmente non ne abbiamo». Agli occupanti converrà rispondere - anche se non comporterà la regolarizzazione - perché potranno dimostrare la loro presenza in casa anche ai fini di una eventuale, futura sanatoria. Proprio qui si interseca la seconda novità annunciata in commissione. «Abbiamo scoperto - rivela il presidente - che in una stanza del Comune ci sono circa 2.100 richieste di sanatoria risalenti alla legge regionale del 2020. Parlo di faldoni chiusi, mai lavorati. Poi ce ne sono altre ottocento del 2006 e qualcuna che addirittura rimanda al 1987». Quella porta finalmente è stata aperta. «Abbiamo chiesto agli uffici di inviare ad Aequa Roma un elenco digitale, in modo che possano iniziare a lavorare le istanze. Vogliamo capire chi può regolarizzarsi e chi no e dare finalmente certezze a chi ne ha diritto». 

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