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Presidenzialismo, "realtà falsificata". Ira di Berlusconi sul Pd. Meloni: italiani devono scegliere da chi farsi governare
L'attacco continua sulle parole di Silvio Berlusconi, che ieri - parlando della riforma del presidenzialismo - ha detto che sarebbero «necessarie le dimissioni di Mattarella» in caso di approvazione della legge costituzionale. Ad alimentare lo scontro, neanche a dirlo, è il segretario del Pd, Enrico Letta, che aprendo la direzione del partito - che ha approvato all’unanimità il programma in vista delle elezioni del 25 settembre - lancia la bordata: «Aver voluto mettere dentro il fuoco della campagna elettorale il Quirinale rappresenta un drammatico errore che ha fatto la destra, che ha fatto Silvio Berlusconi». La riunione - svoltasi nel weekend che precede Ferragosto - si apre per volere del segretario con un «tributo» al capo dello Stato Sergio Mattarella, «massimo garante della Costituzione», a difesa di una frase che - secondo Letta - nasconde la strategia di distruggere il sistema Paese. Il capo dem, rimarca che la riforma del presidenzialismo, che propone il centrodestra «non va bene, il nostro Paese ha bisogno di un Parlamento che possa interpretare le diverse anime del Paese» e, stoccata finale, «non è un’idea di Giorgia Meloni. Era presente infatti nella relazione che Giorgio Almirante fece al Congresso di Napoli del Movimento sociale italiano».
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Parole che fanno saltare sulla sedia l’uomo di Arcore che in un post sui social esprime tutta la sua contrarietà. «Sono amareggiato, e per una volta permettetemi di dire anche profondamente indignato, per la mistificazione in atto da parte della sinistra delle mie parole sul Presidente Mattarella. Evidentemente al Partito Democratico e al suo leader non rimangono altri mezzi che quello di falsificare la realtà», tuona. Berlusconi insiste, la sua è stata solo una ovvia letture di quanto potrebbe accadere a riforma approvata: «Di fronte ad un profondo cambiamento costituzionale deciso dal Parlamento, delle regole e degli assetti istituzionali, dovranno essere rinnovati in base al nuovo dettato costituzionale. I tempi e i modi nei quali questo dovrà avvenire saranno ovviamente regolati da norme transitorie». E poi l’affondo: «Enrico Letta ha il coraggio di criticare me, falsificando le mie dichiarazioni, dopo essersi appena alleato con chi invece, come Luigi Di Maio, aveva addirittura chiesto l’impeachment, la messa in stato d’accusa di Mattarella per attentato alla Costituzione». «Livore e menzogne non hanno nulla a che fare con il confronto delle idee e dei programmi. Ma non si illudano, i signori della sinistra: gli italiani non si fanno più ingannare», la sottolineatura del Cavaliere.
Anche la presidente di Fdi non ci sta e consegna alle agenzie la replica al vetriolo: «Riteniamo che gli italiani debbano avere il diritto di eleggere direttamente il Capo dello Stato e di scegliere da chi farsi governare, per porre fine ai giochi di Palazzo e per tornare protagonisti in Europa e nel mondo».
Per Carlo Calenda si tratta di una polemica inutile: «Il presidenzialismo non porta nessun rischio di deriva autoritaria, anche perché non si farà mai. È una grande arma di distrazione di massa. Inflazione, sanità, impresa 4.0, istruzione, implementazione infrastrutture e Pnrr. Concentriamoci su ciò che conta», cinguetta. Mentre a lanciare l’allarme è proprio Luigi Di Maio: «Berlusconi è per un presidenzialismo senza contrappesi, con l’obiettivo di accentrare tutto il potere su una persona, magari se stesso. Lui e i suoi alleati vogliono stravolgere la nostra Costituzione facendo dissolvere ogni forma di democrazia parlamentare, dunque togliendo potere al popolo. Questa è la pazza idea della destra che si mostra sempre più estremista e pericolosa».
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Rimette tutto nella giusta cornice il costituzionalista Sabino Cassese. In una intervista a La Stampa spiega che «i precedenti costituzionali vincolano il Parlamento a prevedere che la eventuale riforma diventi efficace al termine del mandato del presidente in carica», scandisce il costituzionalista gettando così acqua sul fuoco della campagna elettorale. E siamo però solo all’inizio.