Enrico Letta, dem pronti a voltare pagina. E Bonaccini scalda i motori
Comunque vadano le elezioni politiche, Enrico Letta non resterà alla guida del Pd. Il segretario lo ha detto in tempi non sospetti: dopo ilvoto passerà lamano. Le difficoltà a formare la coalizione di centrosinistra e lo strappo di Calenda non influiranno sulla sua decisione. Così come non influirà il risultato elettorale. Letta, in ogni caso, non perde l'ottimismo ed è concentrato sul lavoro: liste, programma, campagna elettorale. Con una convizione: il Pd può arrivare al 30%. È questo l'obiettivo del segretario: portare i Dem più in alto possibile, contendere a FdI la palma di primo partito italiano. Un modo per limitare la sconfitta e salvare classe dirigente.
«Il Pd sarà il primo partito, vogliamo vincere le elezioni e rovesciare questa campagna elettorale cominciata per colpa di Conte con la caduta del governo Draghi», assicura Letta, che aggiunge: «La nostra campagna elettorale sarà concreta e molto netta. Gli italiani avranno un voto secco: o di là con Meloni e Salvini, odi qua, dove ci siamo solo noi. Siamo l'alternativa essenziale per iprossimi cinque anni. Il nostro Paese si gioca il futuro».
I Dem puntano a chiudere le liste entro Ferragosto, compito non facile visto che il centrosinistra secondo l'Istituto Cattaneo vincerà solo 23 collegi uninominali alla Camera e appena 9 al Senato. Considerando la quota proporzionale, la coalizione messa insieme da Letta porterà a Montecitorio 107 deputatie a Palazzo Madama 51 senatori, ma questa quota comprende anche alleati ed eletti all'estero. Il rischio di restare fuori è insomma altissimo. Sarà anche per questo che il Nazareno è una pentola a pressione pronta a esplodere dopo il 25 settembre. Oggi nessuno si espone per criticare l'operato del segretario, le cui azioni non hanno convinto big, capicorrente e peones. L'ordine di scuderia è: tutti zitti fino alle elezioni, si lavora a testa bassa, poi si vedrà.
Di certo, più di qualcuno aveva consigliato a Letta di non tentare nell'impossibile impresa di mettere insieme una coalizione troppo eterogenea e, soprattutto, di non fidarsi di Carlo Calenda. Le strade da intraprendere potevano essere diverse: la corsa in solitaria che avrebbe salvato la dignità del Pd incentrando la campagna elettorale sul voto utile; il fronte repubblicano con tutti - ma proprio tutti - dentro; una coalizione fondata sull'agenda Draghi con tutti i partiti progressisti e liberaldemocratici che avevano convintamente sostenuto il premier fino all'ultimo. Letta ha scelto una via di mezzo, scelta che finora non ha pagato. C'è poi la comunicazione. A microfoni spenti- meglio non disturbare il conducente mentre ci sono le liste da fare... - molti criticano il modo con cui il segretario ha spiegato agli elettori le scelte fatte, quello sciorinare le percentuali della spartizione dei collegi e quella frase («Non è una coalizione per governare», bensì «un accordo elettorale») che ha dato un'idea di debolezza, col fondato sospetto che i dialoghi con i possibili alleati abbiano avuto più come oggetto le poltrone che i problemi degli italiani. Il Pd ribolle ed è pronto avoltarepagina.
Gira insistentemente il nome del governatore dell'Emilia Romagna Stefano Bonaccini, spesso evocato in questi mesi come nuovo segretario. Se ne riparlerà dal 26 settembre in poi, quando il Nazareno erutterà, i processi si apriranno e Letta sarà pronto a un passo d'addio che ha deciso da tempo.
Dan.Dim.