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I tormenti dei calendiani: “Siamo in un vicolo cieco”. Elettori traditi dall'accordo con il Pd, ma non si torna indietro
E ora, che si fa? Una certa sindrome da cortocircuito serpeggia in Azione, sia nella ristretta compagine parlamentare sia sul territorio. La paura che Carlo Calenda, il condottiero, di troppa disinvoltura politica e sicurezza nelle proprie posizioni abbia finito per incartarsi, e di essersi infilato in una situazione «lose-lose», di quelle che «come fai sbagli». L'ex ministro dello Sviluppo economico aveva creato una certa suggestione con la sua idea di smontare i poli, con il martellamento di bipopulismo, per proporre un'alternativa ritagliata sui programmi, sulle proposte, sui contenuti (per quanto aspra nei toni a un livello spesso sovrapponibile a quello che lui rimproverava ai suoi avversari). Questo aveva un certo successo, sia in molte realtà civiche a livello locale sia, per come si è visto, in alcuni parlamentari che hanno deciso di abbracciarne la causa. Ora, però, apprende Il Tempo, più d'uno teme la sindrome da vicolo cieco. Il patto con il Pd ha suscitato lo sdegno sui social, e lo testimonia anche uno studio della società Arcadia sulle interazioni social riguardanti la parola chiave «Carlo Calenda» nell'arco di 24 ore, tra giovedì e ieri mattina, che colloca i due estremi del sentiment, positivo e negativo, a due livelli che non lasciano spazio a interpretazioni: il primo all'1%, il secondo al 26%.
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Ma l'idea diffusa è che, stante il continuo controcanto e il livello di scontro che ha generato il patto con il Pd e l'aggancio conseguente con Verdi e Sinistra Italia, allora tanto valeva proseguire nella corsa solitaria perché il timore è che questa continua polemica possa avere dei riflessi negativi sulla tenuta del consenso. Ma c'è anche un altro pensiero che avvolge alcuni esponenti, soprattutto locali, di Azione: qualora il patto con il Pd si dovesse rompere, come si potrà spiegare poi agli elettori la giravolta? L'andata e ritorno nel terzo polo in solitaria, o magari con Renzi?
Insomma, ecco spiegata la paura del vicolo cieco: stringendo questo patto, Calenda ha fatto venir meno agli intendimenti iniziali, e rimanendo nel centrosinistra ha scolorito la sua spinta identitaria iniziaria. Ma anche se dovesse staccarsi, e mandare a monte l'accordo con Letta, ne uscirebbe danneggiato perché avrebbe condotto un'operazione che mancava di presupposti politici e tematici, e che era evidentemente orientata, più che a fornire una seria visione di Paese, al tentativo disperato di strappare qualche collegio uninominale al centrodestra. Tempi veloci, questi, in cui nel giro di qualche giorno ci si può giocare tutto il patrimonio di appeal politico conquistato in due anni.
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