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Carlo Calenda si rifugia nel Pd: così ha abbandonato le velleità solitarie ed è pronto all'alleanza con Letta

Carlo Solimene
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Carlo Calenda vola alto. «La vittoria della destra non è scontata - spiega - e per questo motivo dobbiamo fare la scelta più funzionale all’obiettivo». Il ché, al di là della «suspance» sulla decisione finale che sarà resa nota solo domani, di fatto avvicina irrimediabilmente il leader di Azione all’alleanza con il Pd. Tuttavia, al di là dei sogni di rimonta nei confronti del centrodestra, c’è un altro dato che spiegherebbe l’improvvisa sterzata dell’ex candidato sindaco di Roma. Ed è la percentuale assegnata al tandem Azione/+Europa dall’ultimo sondaggio realizzato da Ipsos per il Corriere della sera. Un misero 3,6%. Due decimi in meno di un mese fa. E, soprattutto, appena sei decimi in più della soglia del 3% che, nelle regole del Rosatellum, è la linea di demarcazione tra la vita e la morte per i partiti che si presentano da soli. Insomma, al di là del racconto su un centro che «potenzialmente vale il 15%» (la stima è del sondaggista Fabrizio Masia), la realtà è assai meno rosea. E non dà alcuna garanzia sull’approdo nel prossimo Parlamento. Calenda finora ha rinviato la decisione spiegando di essere in attesa di altri sondaggi. Quelli che dovrebbero svelare quanto vale il suo partito nella corsa in solitaria o nell’ipotesi di alleanza con i Dem. Il leader ritiene, probabilmente a ragione, che un asse con Letta farebbe vincere al centrosinistra qualche collegio in più nell’uninominale ma farebbe perdere ad Azione qualche seggio nel proporzionale. I calcoli, in realtà, sono pressoché impossibili. L’aver spiegato, però, la «non equidistanza» tra il centrodestra e il «campo aperto» di Letta fa intuire come una scelta sia ormai già stata presa.

 

 

Almeno così immaginano nel Pd, dove danno l’alleanza con Calenda per acquisita. Di certo la recente traiettoria di Azione non autorizza velleità solitarie. A differenza dei Dem, infatti, il partito dell’europarlamentare non ha tratto giovamento dalla fedeltà al governo Draghi. Forse anche a causa dei nuovi arrivi da Forza Italia, che ne avrebbero già sporcato la «purezza» vantata sui social. Intanto Calenda prepara i suoi fedelissimi alla svolta: «Non possiamo sbagliare la decisione sulla corsa in coalizione al centro o con il Partito democratico - spiega - perché da questa decisione dipende la possibilità di contendere la vittoria, che non reputo affatto certa, alla destra e di dare al Paese un governo decoroso». Sebbene non manchi di riservare critiche ai futuri compagni di viaggio. Al Pd che resta comunque alleato del M5s in Sicilia e probabilmente nel Lazio, come denunciano i militanti di Azione. E a Di Maio che, secondo Calenda, «non serve a nulla nell’alleanza».

 

 

Di fatto, la scelta del leader di Azione potrebbe essere determinante anche riguardo le prossime mosse di Matteo Renzi. Che, con un Calenda più spostato a sinistra, sarebbe ancora più tentato di percorrere in solitaria le praterie del centro. Non a caso il leader di Italia viva ha già in mente un suo schema per le candidature nei collegi. Lui ha dichiarato di volersi misurare nella circoscrizione dove correrà Nicola Fratoianni di Sinistra italiana. Marattin dovrebbe contrastare Luigi Di Maio (a Modena?), una «pasionaria comunista» dovrebbe misurarsi con Letta (Teresa Bellanova?). L’incognita è la probabile polarizzazione della campagna elettorale man mano che ci si avvicinerà al 25 settembre, con il focus sulla «sfida» Letta-Meloni e i sicuri imminenti appelli al «voto utile». Gli stessi fattori che, alla fine, avrebbero spinto Calenda ad approdare sulle sicure sponde del Nazareno.

 

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