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Elezioni politiche 2022, occhi di tigre e Sarajevo. Enrico Letta come Pierluigi Bersani

Antonio Siberia
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Benvenuti al Pd-quiz di ieri e di oggi. Il gioco è facile e consiste nell’indovinare chi ha pronunciato una frase: se l’ex leader del Pd Pierluigi Bersani, che dal Partito democratico è uscito prendendo la porta a sinistra o se l’attuale segretario Enrico Letta. Il primo emiliano, il secondo pisano, così diversi per anagrafe e formazione politica ma anche così... simili, uniti dalle metafore che paiono essere il linguaggio piddino per eccellenza, ovviamente dopo il politicamente corretto.

Perciò, che il quiz cominci. Frase a). «Queste elezioni sono per noi un tappone dolomitico, tutto in salita». Frase b). «Se bevi l’acqua dal pozzo non dimenticarti chi ha scavato quel pozzo». Due frasi, una ciclistica, l’altra più idrica. Ebbene il tappone è farina di Enrico Letta, l’acqua del pozzo di Bersani. Il fatto è che dopo gli anni parigini si poteva pensare che Enrico Letta più che tendere a un linguaggio stile Bersani scegliesse una linea, come dire, più alla François Mitterrand se proprio voleva pescare nella tradizione dialettica del socialismo europeo. Macché. L’elenco delle dichiarazioni dell’attuale segretario del Pd lo rende senza dubbio un bersaniano vecchio stile.

Ecco un breve catalogo, giusto per dare un’idea. «Questa legge elettorale una maggioranza la darà, il risultato sarà chiaro: o sole o luna. Non ci sarà una terza strada. La legge elettorale fa vincere gli uni o gli altri». O ancora: «Io, in questo momento, ho gli occhi di tigre». A sentir parlar di tigre più che alla giungla selvaggia la mente corre alla frase di Bersani, rimasta nelle teche, sullo smacchiare il giaguaro. Ma proseguiamo nel lettismo di parole che pesca persino metafore guerresche. «Alcuni tentano goffamente di togliere le impronte digitali alle armi che hanno posto. La cosa peggiore di oggi sono stati gli applausi da coccodrillo in aula da coloro che sono stati protagonisti di questa crisi di governo». Bersani in questo caso sarebbe forse stato più soft, con una metafora del tipo «ma tu vuoi un tortello a misura di bocca».

Ma proseguiamo con le frasi di Enrico (Letta): «Vorrei che il Pd fosse come un quadro di Van Gogh, con la nettezza dei colori. Tutto chiarissimo e nell’insieme tutto bellissimo». Pittura straordinaria quella di Van Gogh ma andrebbe tenuto presente che il pittore olandese si tagliò pure un orecchio con un rasoio e poi si fece l’autoritratto con la parte ferita fasciata. Oh, avrebbe detto il buon Bersani quando ancora stava nel Partito democratico, «non siamo mica qui a pettinare le bambole». Il tono narrativo di Letta è indubbiamente più drammatico, basti pensare alle sue parole sulla crisi innescata dai 5 Stelle e su Giuseppe Conte: «Lo avevo avvertito che non votare la prima fiducia sarebbe stato lo sparo di Sarajevo. Conte ha fatto le sue scelte. Ha aperto un varco per le elezioni e Salvini non aspettava altro». Come dire, provate voi adesso a rimettere il dentifricio nel tubetto. Sarebbe una missione impossibile anche per Pierluigi Letta. Pardon, per Enrico Bersani. Ehm, scusate: per Pierluigi Bersani. È che con tutte queste metafore, provate voi a trovar le differenze.

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