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Crisi di governo, la presunzione di Mario Draghi di essere superiore a tutti: il premier era rimasto solo

Arnaldo Magro
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«Scusami ma possibile che nessuno di voi, lo abbia letto prima quel discorso?» «Che vuoi ti dica, ho provato a dirgli qualcosa ma sai che di me, forse forse, non si è mai completamente fidato». In questa risposta di uno dei più stretti collaboratori di Mario Draghi, vi è la parabola degli ultimi diciassette mesi di Palazzo Chigi. Il collaboratore napoletano, fuga così anche il dubbio che l'ex Premier volesse creare l'incidente per andarsene. Perché ad un certo punto, tra i banchi dei senatori, si è pensato anche a questo. «Con questo discorso si sta candidando dritto col Pd» ha scritto Matteo Renzi in un sms ad un collega. Mario Draghi in realtà non si fidava più di nessuno a Palazzo Chigi. Non si fidava più della politica, che per ben due volte in sette mesi, lo ha illuso e poi beffato. Per due volte in sette mesi l'ex Bce ha però commesso lo stesso identico errore. Si è creduto migliore della politica. Su un gradino più in su. Era convinto che la politica si sarebbe piegata alle sue volontà. Perché, in fondo, tra i politici nessuno è come lui.

 

 

«Resto perché me lo hanno chiesto gli italiani» ha detto in forma privata, al centrodestra incontrato martedì sera. Ha dunque attaccato tutti in aula. M5s, Lega, Forza Italia, quelli che secondo lui, lo tradirono nella corsa al Colle, risparmiando per una volta ancora, gli «amici» del Pd. Una sorta di vendetta mal congegnata. Per dirla alla Giorgetti, è finita in maniera indegna. La politica sopravvive sempre a sé stessa ed i tecnici, per l'ennesima volta, escono di scena. Draghi come Leonida, contro i copiosi persiani della politica. Solo contro tanti. E se Leonida poteva almeno contare sulla lealtà di quei trecento, lui ha capito troppo tardi che in questi mesi lo hanno davvero lasciato tutti da solo.

 

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