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Ultimatum Pd al M5S: “Se strappate addio alleanza”. Barricata di Dario Franceschini per Mario Draghi
«Se ci sarà una rottura o un appoggio esterno sarà la fine di questo governo e della possibilità di andare insieme alle elezioni». Un ultimatum in piena regola quello che il ministro della Cultura Dario Franceschini lancia al leader dei 5 Stelle Giuseppe Conte: il Pd non tollererà strappi. Se il Movimento vorrà uscire dalla maggioranza che sostiene Mario Draghi sarà anche la fine del «campo largo». Ognuno per la sua strada. L'avvertimento di Franceschini è arrivato ieri a Cortona in chiusura della manifestazione nazionale di AreaDem, la più grande corrente del Pd di cui il ministro è il punto di riferimento. Significa che le sue parole coincidono con la linea ufficiale del partito. Anche i tempi non sono casuali. Oggi, infatti, Conte vedrà Draghi nell'atteso faccia a faccia dopo le polemiche di fuoco per i messaggi (smentiti) con cui il premier avrebbe chiesto a Grillo di rimuovere l'avvocato di Volturara Appula dalla guida del Movimento. Il ragionamento di Franceschini è semplice: «Da qui alle elezioni, per andare insieme al M5S dobbiamo stare dalla stessa parte, se ci sarà una rottura o una distinzione, perché un appoggio esterno è una rottura, per noi porterà alla fine del governo e all'impossibilità di andare insieme alle elezioni». Poi, per essere ancora più chiaro, aggiunge: «Sarà fondamentale l'incontro tra Draghi e Conte. Sappiamo che hanno in mano una grande responsabilità».
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Quello di Conte è un bel dilemma. Strappare con Draghi avrebbe sicuramente dei vantaggi. In questo modo riconquisterebbe la base e buona parte dei parlamentari che chiedono una politica più aggressiva su alcuni temi come l'invio di armi all'Ucraina, la difesa del reddito di cittadinanza, quella del superbonus e la questione del termovalorizzatore di Roma. Dall'altro lato, però, uscire dal governo significherebbe perdere l'appoggio decisivo del Partito democratico alle elezioni. Far cadere l'esecutivo molto probabilmente vorrebbe dire anche andare al voto anticipato. E il M5S, in calo costante di consensi, non è pronto. Franceschini spera sempre che il leader del M5S ricucia con il premier: «Se i 5 Stelle si svuotano crescono i no vax e l'astensionismo, non crescono i voti per il Pd. Si gonfia la destra». Il ministro spinge anche per cambiare la legge elettorale: «Il maggioritario blocca i processi evolutivi e spinge a creare barriere perché devo demonizzare il mio avversario. Con il proporzionale invece le alleanze forse sono meno omogenee ma possono costruirsi attorno a dei programmi».
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La strategia del Pd punta ad allargare il più possibile il fronte da contrapporre al centrodestra. La riforma della legge elettorale in senso proporzionale è propedeutica proprio a questo scopo. «Allargamento» ma anche «ricomposizione» per usare sempre le parole di Franceschini che ritiene ormai conclusa la diaspora di Roberto Speranza e Pierluigi Bersani: «È ora che tornino nel Partito democratico». Il ministro ricorda che «AreaDem è nata nel 2009, abbiamo avuto sei segretari nazionali, abbiamo sempre garantito l'unità del partito attorno al segretario. Basta con la retorica delle correnti. Mi dispiace che un segretario se ne sia andato proprio dando la colpa alle correnti, in un grande partito ci deve essere il confronto». Le grandi manovre sono appena iniziate. Non a caso proprio Speranza, in un'intervista a La Stampa, lancia un appello a Enrico Letta: «Guidi un nuovo Ulivo per battere la destra».