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Alta tensione nell'incontro tra Giuseppe Conte e Beppe Grillo: stop alla deroga dei due mandati

Camillo Barone
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È durato più di tre ore il vertice fiume all'hotel Forum di Roma tra il garante e fondatore del Movimento 5 Stelle Beppe Grillo e il presidente Giuseppe Conte. Un confronto definito «gelido», a 360 gradi trai due, che ha avuto il suo centro nel dilemma lasciato poi senza risposta su un eventuale addio dell'M5S al governo guidato da Mario Draghi. Conte vuole le spalle coperte se le cose dovessero precipitare, con i parlamentari che chiedono scelte nette, e che si interrogano se abbia senso continuare ad andare avanti con il sostegno all'esecutivo. Per poi arrivare alle questioni interne al partito, infinite, legate all'addio della settimana scorsa di Luigi Di Maio e al futuro ancora tutto da riscrivere. In tarda serata il garante ha poi incontrato i gruppi parlamentari, in un confronto destinato a restare negli annali delle memorie più riservate del Movimento. I deputati e i senatori che hanno partecipato alla riunione a Montecitorio sarebbero stato caldamente invitati a depositare i propri cellulari in un'urna. A quanto si è appresso successivamente, la decisione sarebbe stata presa per evitare distrazioni e fughe di notizie.

 

 

«Abbiamo parlato sedendoci tutti in cerchio», ha raccontato uno dei parlamentari, mentre altri hanno riferito di un Beppe Grillo che «sarà sempre più operativo sulla comunicazione, perché avrà un ruolo maggiore e verrà più spesso a Roma». Questa operatività costerà al partito ben 300mila euro annui, soldi che Grillo guadagnerà in cambio di un rinnovamento del suo blog, che sarà messo al servizio dei parlamentari «per far conoscere meglio le vostre iniziative». Non ci saranno deroghe ai due mandati da eletti in Parlamento peri pentastellati. Resterà dunque la regola aurea, bollata come «principio fondante», che per il fondatore non avrebbe mai dovuto essere stata messa in discussione dalla base. Al massimo si potrebbe pensare ad una «micro-deroga» solo per il 5% dei fedelissimi e noti ai più, come Roberto Fico, Paola Taverna, Vito Crimi e Alfonso Bonafede, che però dovrebbero limitarsi al ruolo di formatori in una «scuola di partito» ancora da far nascere.

 

 

Sullo staccare o meno la spina a Draghi, il comico genovese avrebbe detto ai suoi: «Se ci credete dovete farlo fino in fondo, io non abbandono nessuno», senza però parlare di strategie o linee guida. «Non esco dal governo per un c... di inceneritore», avrebbe poi insistito a proposito della norma contenuta sul termovalorizzatore a Roma contenuta nel dlAiuti e invisa al Movimento 5 Stelle. Un passaggio anche sulla scissione dei dimaiani: «Nessun rancore per chi è andato via». E proprio nelle stesse ore, sulle chat dei grillini è arrivato più sonoro che mai lo sfogo dell'ex ministra dell'Istruzione Lucia Azzolina, passata a Insieme per il futuro: «I parlamentari sono stati inascoltati. C'è un clima molto pesante, non abbiamo mai avuto un luogo dove poter parlare, anche per scannarci. Per 5 mesi abbiamo chiesto un'assemblea con Conte e non ci è stata concessa per silenziarci. Ma quando si mette la polvere sotto al tappeto prima o poi la viene a galla».

 

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