divorzio salato
Luigi Di Maio si prende pure la cassa. Al M5S porta via circa 4 milioni
Ogni divorzio ha un costo. Ma, in questo caso, il conto lo paga tutto il Movimento 5 stelle. La scissione promossa da Luigi Di Maio, infatti, ferisce l’ex premier Giuseppe Conte anche nel portafoglio. I calcoli sono presto fatti. Ogni anno la Camera e il Senato versano ai gruppi parlamentari un sostanzioso contributo per sostenere la loro attività politica e di comunicazione.
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Una voce divenuta di fatto determinante da quando l’abolizione del finanziamento pubblico ha azzerato o diminuito le altre entrate economiche. Il «gettone» concesso dal Parlamento, invece, vale circa 49.200 euro a deputato e 60.000 euro a senatore l’anno. Elenchi alla mano, nelle casse del Movimento 5 stelle, se la legislatura dovesse terminare tra un anno, entreranno circa 2,5 milioni di euro in meno alla Camera e circa 600mila euro in meno al Senato. A questi, peraltro, vanno aggiunti i versamenti che i parlamentari sono tenuti a effettuare nei confronti del Movimento in base ai regolamenti interni. Si tratta di mille euro al mese, il ché moltiplicato per dodici mesi e per 61 parlamentari fa altri 732 mila euro.
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Il totale dell’ammanco, insomma, si attesta poco sotto i 4 milioni di euro. Un «deficit» piuttosto grave considerando che la campagna elettorale si avvicina e ha un costo importante. Tanto più che l’adesione al sistema del 2x1.000, decisa dopo un voto della base che ha ribaltato uno dei totem sacri del Movimento, non darà i suoi effetti prima dell’anno fiscale 2023. Insomma, se tutto va bene i primi incassi arriveranno a inizio 2024.
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Dal Movimento obiettano che, in realtà, tanti dei dimaiani già da tempo non versavano più la quota di mille euro pattuita. Ma questo, in realtà, apre un altro fronte. Perché la schiera dei mancati «restituitori» era molto più ampia rispetto a coloro che se ne sono andati. Difficile tracciare l’identikit dei ritardatari: il sito internet tirendiconto.it non esiste più da agosto 2021, se si digita quell’url si finisce su una pagina in lingua francese. Ciò che conta è che, secondo quanto attestato a inizio giugno dal tesoriere Claudio Cominardi, nelle casse mancherebbero circa due milioni, comprensivi pure dell’altra quota da versare, i 1.500 euro da destinare al «fondo restituzioni» che poi vengono devoluti ad associazioni o imprese. Dopo la scissione, con il rischio di perdere per strada altri eletti, sarà molto più difficile per i vertici grillini pretendere gli arretrati dai morosi. «Sicuramente -, dice la tesoriera del gruppo alla Camera Francesca Galizia all’Adnkronos - faremo delle valutazioni sui contratti in scadenza, principalmente le consulenze esterne, dobbiamo rivederle e rivalutarle anche nell’ottica di un efficientamento degli uffici».
Chiaramente i 4 milioni rappresentano un calcolo a spanne che non tiene conto di quanto accade fuori dal Parlamento. A livello locale, ad esempio, non è ancora ben chiaro chi seguirà Di Maio e chi resterà nel Movimento (in Campania ha già fatto il salto la capogruppo in Consiglio regionale Valeria Ciarambino). Senza contare l’eventuale sostegno dei militanti di fede dimaiana, che presumibilmente non verseranno più nulla al Movimento di Conte. Il buco, insomma, c’è. E sembra destinato ad allargarsi.