telecomunicazioni
Il governo ci lascia senza WiFi, perché Mario Draghi è rimasto senza la rete
Caro direttore, il governo dei migliori con lo spread che si impenna, Lega e Grillini in uscita e la pace in Ucraina che si allontana, ci lascerà anche alla canna del gas e senza WiFi. Del gas ha parlato a chiare lettere Claudio Descalzi il "draghetto" più affidabile del governo il quale, come un fedele cane a sei zampe, accompagna il ministro degli Esteri Di Maio alla speranzosa ricerca di qualche riserva in Africa lasciata libera dai francesi o dai cinesi.
Quella della rete tlc è invece una nuova sciagura e sta venendo alla luce dalle segrete stanze di Cassa Depositi e Prestiti che controlla Open Fiber e, con una quota di circa il 10%, anche Tim. La storia va raccontata perché a causa delle rappresaglie tra azionisti e Fondi, si rischia di far saltare gli ingenti fondi PNRR dedicati al settore. Gli indizi c’erano tutti da mesi, almeno da quando Dario Scannapieco, il banker di fiducia di Draghi catapultato a Roma dalla Bei, ha rimandato di settimana in settimana la lettera d’intesa sulla rete unica tra CDP, appunto, e Tim. Alla fine, dopo mesi di travaglio, è stato partorito un inutile topolino con le sembianze di un documento non vincolante.
Il motivo dei ritardi, a sentire i commenti degli advisor che lavorano ai dossier, non è imputabile a Tim, ma alla situazione di Open Fiber, dopo l’uscita di Enel, e la sostituzione di Elisabetta Ripa con Mario Rossetti: un brav’uomo che sa soprattutto di numeri ma timoroso di tutto, giustificato per aver subito, per ben 11 anni, una persecuzione giudiziaria dalla quale è uscito assolto e che ha raccontato nel bel libro-denuncia "Io non avevo l’avvocato", scritto con Sergio Luciano. Come se non bastasse, a complicare quel CDA è stata la nomina alla presidenza di Barbara Marinali, soprannominata scherzosamente "bla bla bla", PD doc, tendenza Enrico Letta, in sintonia con Antonio Nicita - rampante componente della commissione per le infrastrutture - e Marco D’Alberti -consigliere giuridico di Mario Draghi. Tutti di assoluta e rigorosa obbedienza alla dottrina di Francesco Giavazzi. La Marinali è finita ad Open Fiber dopo aver perso la corsa alla presidenza di Webuild e per condividere la beffa con i neo-colleghi adesso li inchioda in consiglio a ore di discussioni anche per approvare un piano che si è dimostrato irrealistico.
I risultati, per ora deludenti, sono: l’avanzamento dei lavori di rete nelle aree bianche -quelle pagate con il contributo dello Stato- che sta progredendo ad una velocità pari a meno della metà rispetto a quella prevista dal piano industriale mentre le cosiddette aree nere, ovvero i grandi centri a carico dell’azienda, sono completamente ferme. Risultati peggiori di quelli dell’anno scorso quando l’azienda, allora ancora guidata da ENEL, si trovava ad affrontare nei cantieri i problemi causati dal Covid. Incurante delle performance sin qui ottenute, Open Fiber, infarcita da dirigenti segnalati da CDP, si è aggiudicata anche 8 lotti per le aree grigie. Al Mef continuano a chiedersi come Open Fiber possa essere in grado di svolgere i lavori previsti se non è stata in grado di rispettare i piani per le aree bianche e quelle nere. Per ovviare alla mancanza di manodopera per i lavori di scavo della fibra, qualcuno si è addirittura lanciato nell’ipotesi di utilizzare i carcerati: ma si tratta di una difficile collaborazione soprattutto per via della formazione dei detenuti da utilizzare e per i mille dubbi sollevati da parte della Polizia Penitenziaria. L’episodio è solo la punta dell’iceberg, come lo è il nervosismo tra i vertici di Open Fiber e i vecchi azionisti di Enel, tanto che per motivi di "riservatezza" Rossetti ha fatto creare un secondo dominio internet che opera in parallelo a quello ufficiale. Sarebbero circa 50 i dirigenti e dipendenti dell’azienda che hanno una doppia e-mail ed è stato creato addirittura un doppio sistema di videoconferenze con i dirigenti di primo livello invitati ad utilizzare Webex quando il resto dell’azienda continua a usare Teams di Microsoft gestito dall’Enel.
Dopo la conferenza stampa di Rossetti, il quale ribadisce che va tutto bene, che la rete unica si fa - convinto com’è di prenderne la guida - e che aspetta solo che si materializzino 8.000 persone da utilizzare per gli scavi, sono Palazzo Chigi e CDP a dover chiarire cosa succederà in Open Fiber. Mentre Vivendi, l’azionista più importante di Tim, deve decidere o meno se accettare l’offerta per la società della rete unica a prezzi ben inferiori a quelli di carico, come ha anticipato l’uomo forte di Parigi Arnaud de Puyfontaine che da mesi cerca interlocutori istituzionali affidabili. Secondo i rumors, i francesi non prenderebbero nemmeno in considerazione una valorizzazione di Netco inferiore a 24 miliardi di euro, cifra ancora parecchio lontana rispetto al valore che sembra sia disposta a pagare CDP.
Non è chiaro a questo punto con chi giochi il governo. Agevolare l’offerta di KKR di qualche nuovo Fondo o andare incontro ai francesi? Insomma un gran pasticcio. Si sa che il premier Draghi, anche se strizza l’occhio a Macron, è ideologicamente più vicino ai fondi USA. Comunque vada a finire una cosa è ormai certa: l’Italia rimarrà ancora a lungo senza rete e Bruxelles guarderà sempre con più attenzione ai giochini romani con il rischio di cancellare sul serio i fondi del PNRR. E allora resteremo senza rete, aria condizionata e con la Troika in casa. Ma quella vera, non il trio Draghi, Franco, Giavazzi.