intervista

Referendum sulla giustizia, Vincenzo Pepe: "Votare sì è un atto di civiltà"

Pierpaolo La Rosa

«Mille detenzioni ingiuste all’anno non sono fisiologiche, ma il segnale di un malessere». Ne è convinto il presidente nazionale dell’associazione Fareambiente e professore associato di diritto pubblico comparato presso l’Università degli studi della Campania «Luigi Vanvitelli», Vincenzo Pepe, in merito ai referendum sulla giustizia in programma domenica prossima, 12 giugno.
Professor Pepe, l’associazione Fareambiente si è schierata per il sì a tutti e cinque i quesiti referendari.
«Sì, perché noi abbiamo una visione dell’ambientalismo che non è solo la tutela delle risorse naturali, ma è tutto ciò che ci circonda, anche l’immaterialità. Lo sviluppo sostenibile di una comunità, di un territorio passa attraverso l’equità e una buona qualità della vita si ha quando si respira dell’aria pulita, quando vi è una socialità giusta, quando i principi fondamentali di libertà e democrazia sono il cuore palpitante di un ambientalismo che sia ragionevole e propositivo».
Una battaglia, la vostra, per una giustizia giusta.
«Sì. Occorre evitare le lungaggini dei processi che hanno un costo enorme dal punto di vista economico, e non solo. C’è, inoltre, la questione della limitazione della libertà, con uno strapotere della magistratura che provoca un disequilibrio tra poteri dello Stato. Per non parlare del sovraffollamento delle carceri: un terzo delle persone è detenuto in attesa di giudizio, e la maggior parte di costoro viene poi scarcerata per non aver commesso il fatto. Lo Stato italiano ha speso oltre 900 milioni di euro per ingiusta detenzione, siamo i primi a livello europeo. Solo nel 2020, sono stati liquidati 43 milioni di euro per ingiuste detenzioni. Soldi che potrebbero essere utilizzati per migliorare la qualità della vita, per l’ambiente».
Gli italiani non sembrano più nutrire alcuna speranza nella giustizia...
«Secondo l’ultimo rapporto dell’Eurispes, due italiani su tre non hanno fiducia nella giustizia. Quindi, noi riteniamo che quello della giustizia sia un problema di socialità e la socialità è un elemento basilare dell’ambiente. Lo dico non solo da presidente nazionale di Fareambiente, ma anche da professore universitario che ai suoi studenti insegna che la civiltà di una comunità si misura attraverso la giustizia. La nostra è una battaglia appunto per la giustizia giusta e per segnalare l’importanza di referendum che non hanno voce».
A pochi giorni dalla consultazione, c’è un silenzio imbarazzante sui quesiti... 
«Capisco le ragioni. C’è un Parlamento che forse non ha la forza di legiferare. Esiste il timore di andare a disturbare un potere, quello giudiziario, che è diventato uno strapotere. Si preferisce dare spazio a Luciana Littizzetto che ridicolizza i referendum, senza contraddittorio, invitando la gente ad andare al mare. Questi referendum sono davvero importanti: bisogna cambiare, ad esempio, il sistema di elezione del Consiglio superiore della magistratura perché il caso Palamara ci ha fatto scoprire un mondo che non conoscevamo, in cui le correnti sono dei partiti e la giustizia è spesso uno strumento per fare politica. Noi vorremmo, invece, che venisse salvaguardato il lavoro encomiabile di tanti magistrati».
Perché gli elettori dovrebbero recarsi alle urne domenica prossima e votare sì?
«Perché il grado di civiltà di un Paese, come dicevo prima, si misura dalla giustizia ed è sentimento comune che la nostra giustizia vada riformata. Questi referendum devono dare un segnale al Paese, alle istituzioni, al Parlamento, di trovare la forza per cambiare un sistema che non funziona».