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Elezioni amministrative rischiatutto: dalla resa dei conti in Lega e M5s ai timori di crollo del Pd
Come i Golden Globe rappresentano una marcia di avvicinamento agli Oscar, anticipandone il più delle volte tendenze e vincitori, così le elezioni amministrative che si celebreranno domenica prossima costituiranno una sorta di «prova generale» delle Politiche che, a meno di colpi di scena, si terranno tra un anno. Il voto in 26 Comuni capoluoghi di Provincia e in un altro migliaio di centri, infatti, mai come in questa occasione rischia di terremotare l'attuale assetto istituzionale, in particolare per quel che riguarda il M5s e la Lega, i due partiti che più di tutti stanno manifestando grandi sofferenze nell'adesione alla maggioranza che sostiene il governo di Mario Draghi.
OCCHIO AI FALLI DI REAZIONE
Il problema è che proprio Giuseppe Conte e Matteo Salvini sono i leader che rischiano di uscire maggiormente con le ossa rotte dal voto del 12 giugno. Il capo grillino, in particolare, rischia di perdere senza neanche giocare la partita. Il Movimento 5 stelle, infatti, non presenta proprie liste in ben 8 dei 26 capoluoghi al voto. Nei 15 in cui corre con il Pd, invece, appoggia semplicemente candidati Dem o civici. Di conseguenza, non potrà godere neanche dell'effetto trascinamento di un proprio «portabandiera». Ci sono poi due casi particolari: quello di Rieti, dove i militanti grillini hanno messo su una civica dal nome «ConTe», chiaro riferimento all'ex premier, che servirà anche a testare le potenzialità di un eventuale partito personale di «Giuseppi» (anche se lui giura di non aver assolutamente approvato l'operazione); e quello di Carrara, dove c'è sia la lista che il candidato sindaco grillino. Ma il confronto con il passato- il sindaco uscente è proprio del Movimento, Francesco De Pasquale, e non si è ricandidato rischia di essere impietoso. L'effetto più immediato del probabile flop potrebbe essere la tentazione di uscire dal governo per ritrovare l'identità barricadera perduta. Uno «strappo» da consumarsi sul nuovo voto sulle armi all'Ucraina previsto per fine mese. Conte smentisce questo scenario, ma a Palazzo Chigi (e al Nazareno) l'eventualità è tenuta seriamente in considerazione.
IL CASO SICILIA
Alle vicende del centrodestra si intrecciano quelle dell'isola che da sempre viene considerata termometro delle future tendenze nazionali. Se a Palermo la coalizione ha ritrovato l'unità intorno a Roberto Lagalla e non dovrebbe aver problemi a riprendersi la città dopo dieci anni di parentesi orlandiana, particolare rilevanza avrà il risultato di Messina. Qui la Lega - sempre sotto le insegne di Prima l'Italia - ha deciso di sostenere Federico Basile, delfino dell'uscente Cateno De Luca, mentre il resto del centrodestra spinge l'ex assessore regionale Maurizio Croce. Il risultato del «derby» - che potrebbe decidersi al ballottaggio - inciderà in qualche modo anche sul destino di Nello Musumeci, che in autunno Fratelli d'Italia vorrebbe ricandidare alla guida della Regione, con la contrarietà, però, proprio di Lega e parzialmente di Forza Italia. Ulteriore dimostrazione di come in casa centrodestra il clima viri sempre verso il tempestoso.
IL REBUS DEI «DRAGHIANI»
Spostando l'asse dell'analisi più al centro, va notato come l'attivissimo Matteo Renzi, se dal lato nazionale si fa sponsor di una nuova aggregazione draghiana, da quello locale stia pendendo nettamente verso lidi destrorsi. Italia viva, infatti, sostiene a Genova l'uscente di centrodestra Marco Bucci, a Palermo il già citato Lagalla, a Verona l'ex Lega Tosi, a Rieti il meloniano Daniele Sinibaldi, a Catanzaro il candidato di Fi e Carroccio Valerio Donato. Certo, ci sono anche città in cui si è creato il famigerato «campo largo» col centrosinistra, da Parma a L'Aquila. L'impressione è che Renzi, così come Calenda, abbia voluto tenersi il più possibile le mani libere. Senza giurare fedeltà assoluta né al centrodestra né al centrosinistra. Anzi, sperando che l'implosione dei vecchi «poli» dia ulteriormente smalto al progetto del «Draghi dopo Draghi». Si vedrà.