Matteo Renzi, Luigi Bisignani smaschera il leader di Italia Viva: "Ha in testa il partito dei garantisti". Da Rottamatore a "Mostro"
Caro direttore, da rottamatore a mostro. Quale diavoleria ha in mente Matteo Renzi, dopo che il suo libro vola nelle classifiche dei più venduti, grazie anche a presentazioni spettacolo che riempiono le piazze? Tuttavia i piazzamenti letterari a Renzi interessano meno di quelli politici: l'ex rottamatore sa di dover dare una svolta iniziando proprio dalla sua «Italia Viva» e arrivando persino a valutare se rifondarla facendosi anche un po' da parte. Potrebbe essere un modo per intestarsi un più ampio movimento che raduni garantisti e riformisti di ogni schieramento facendo così dimenticare che fu lui a bocciare i provvedimenti di grazia proposti da Giorgio Napolitano o a far dimettere ministri innocenti come Maurizio Lupi. Una mossa che metterebbe nell'angolo i neo-giustizialisti alla Enrico Letta e Giuseppe Conte, in nome di una reale riforma, non solo della giustizia civile, penale e tributaria, ma che tocchi anche le diseguaglianze e sperequazioni, suffragata da una visione politica in senso presidenzialista. Un programma con pochi punti ben definiti, per un partito che, nel marketing politico, verrebbe chiamato «di scopo». Un po' ciò che teorizza Sabino Cassese quando parla di «esaurimento della forma partito». Un bacino d'utenza oppresso da insofferenza, patemi e ingiustizie che abbraccia circa 8 milioni di italiani, cittadini che non si fidano più delle istituzioni e che non vogliono più solo protestare in stile pentastellato. Con oltre 5 milioni di procedimenti giudiziari pendenti nel nostro Paese, ormai un italiano su quattro ritiene inutile denunciare un reato, visti anche i tempi processuali sine die.
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Il tema è diventato molto caldo, lo dimostra il successo che sta ottenendo il libro «Giustizia è fatta!», scritto dall'imprenditore calabrese Luigi Mazzei - prefazione di Piero Sansonetti - il quale per 14 lunghi anni è stato sotto processo per poi essere assolto. Ma con famiglia e azienda distrutte. Non è un caso se la società di comunicazione «Nuove Reti» ha ricevuto l'incarico da un importante studio legale internazionale con sede a Roma, vicino Piazza Fiume, di trovare un art director per creare il simbolo di un nuovo partito il cui nome dovrebbe essere «ITALIA+GIUSTA». Misterioso il committente. Del resto, non è proprio Renzi che va ripetendo in ogni dove, con un bagno di inusitata umiltà, che «il Mostro» va letto non come l'assalto giudiziario a Matteo Renzi, ma ad un Mario Rossi qualunque? Portare avanti una battaglia prescindendo dalle sue vicende private, gli evita gli errori che fece Silvio Berlusconi, intestandosi, ad esempio, il Lodo Alfano. Eppure la lettura de «Il Mostro» lascia sconcertati: dalla Cassazione, che per ben cinque volte sbugiarda i metodi della Procura di Firenze, alle scorribande nelle intercettazioni di decine di amici da Marco Carrai al generale Michele Adinolfi «fatte con i piedi» (copyright procuratore Lucia Musti) dell'ex coppia d'oro dei Carabinieri composta da Sergio Di Caprio - in arte Capitano Ultimo - e Gianpaolo Scafarto, che hanno poi lasciato la Benemerita per diventare assessori alla legalità, fino ai cosiddetti Trojan «ad intermittenza», inseriti nei device, accesi e spenti da chi ascoltava per evitare imbarazzanti chiacchierate tra «mammasantissime» nelle Istituzioni. Senza contare gli estratti conto degli indagati sparsi come coriandoli nelle redazioni dei giornali «amici» oppure, quasi fresca di giornata, la decisione dei giudici di Genova che hanno respinto l'istanza di opposizione di Renzi contro l'archiviazione dei pm fiorentini, non ritenendo i whatsapp e gli sms comunicazioni né corrispondenza. Irregolarità o violazioni che sono all'ordine del giorno per migliaia di casi. Ma se «Il Mostro» ha avuto fin troppe anticipazioni, ciò che interessa scoprire è come si muove Renzi e soprattutto con chi, dal momento che è riuscito a condizionare, nel bene e nel male, la vita del Paese, regalandoci Mattarella e Draghi (quest'ultimo ormai imprigionato, secondo il senatore di Rignano, dal duo Giavazzi-Funiciello) e, addirittura, a far saltare la candidatura al Quirinale della abilissima «femme fatal» del Dis Elisabetta Belloni.
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Ma la tela del Mostro chi potrebbe avvinghiare oggi? Partendo dai 5Stelle, nonostante gli alti e i bassi, un filo esiste sempre con Luigi Di Maio. I loro rapporti vennero inizialmente facilitati da due golden boy del deep state romano, i funambolici Salvo Nastasi, oggi padre-padrone dei Beni Culturali, e Vincenzo Spadafora, in declino dopo la disastrosa esperienza come ministro dello Sport, ma sempre una delle intelligenze più vivaci in quell'universo che abbraccia tanti mondi ultimamente in grande spolvero. Renzi-Di Maio, alleati silenziosi nelle ultime battaglie contro Conte e Salvini: una sintesi i due l'hanno sempre trovata, ancor più ora che Giggino sulla giustizia (caso Uggetti) ha fatto importanti aperture. Silenziosi Sherpa renziani, a partire da Gianfranco Librandi, lavorano ai fianchi anche dei vecchi amici del Pd che oggi non apprezzano più la deriva manettara, guerrafondaia e filo francese del segretario Letta, espressosi per il no ai referendum. Assieme a una donna dal passato limpido che tanto potrebbe assomigliare ad Anna Finocchiaro, in buoni rapporti con Maria Elena Boschi, e a sindaci come Bucci e Sala, potrebbero arrivare molti delusi dal Pd. Sono in molti a pensare che la giustizia, le diseguaglianze, il presidenzialismo, sono temi non più rinviabili: dal ministro della Difesa Lorenzo Guerini, «in sonno» dalla politica perché preso da ammiragli e generali, fino a Margiotta o anche Smeriglio, Orfini, Marcucci, Morani, magari pure Goffredo Bettini, ultimamente deluso dal suo amato «Giuseppi», o un fuoriclasse come Giulio Tremonti. Se questo è quello che si muove a sinistra, da Forza Italia, dalla Lega e dai «senza tetto» del centro è tutto un fermento e prove di shuffle, dalla Biancofiore a Lupi, da Quagliariello a Brugnaro. Un progetto serio sulla giustizia in grado di coinvolgere anche magistrati e avvocati dovrebbe trovare l'appoggio di Mattarella, il quale, se finora ha fatto finta di non capire quello che è successo al Csm, nonostante le documentate accuse dell'ex potentissimo Luca Palamara, adesso non può fare più a meno di intervenire. Come effettivamente ha già visto, parafrasando Goja, «il sonno della ragione genera mostri». E il Mostro è pur sempre il suo padre putativo.
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