l'intervista
Giustizia, Maurizio Lupi chiede il sì al referendum
Maurizio Lupi, presidente di Noi con l’Italia e vicepresidente del gruppo Misto della Camera. Lei sostiene con convinzione il sì ai cinque quesiti referendari sulla giustizia in programma il prossimo 12 giugno.
«Assolutamente sì. Mai come questa volta c’è una possibilità concreta da parte dei cittadini di dare un segnale molto forte. Occorre riequilibrare i poteri, c’è bisogno di una giustizia che si metta al servizio dei cittadini, che sia un punto oggettivo a cui tutti i cittadini possono guardare. Bisogna tornare a tempi certi per la giustizia e ad un giusto processo: non bisogna essere condannati per un avviso di garanzia».
Quale quesito assume, a suo avviso, una rilevanza particolare?
«Quello sulla legge Severino. Si tratta di un provvedimento che ha provocato una distorsione nel rapporto tra politica e magistratura. La politica è rappresentanza di interessi e la Costituzione stabilisce che fino a quando non c’è una sentenza definitiva, vige il principio della presunzione di non colpevolezza. Anche la richiesta di condanna nei confronti di Silvio Berlusconi nel processo Ruby ter dimostra, più che mai, che è necessario lanciare un segnale importante perché l’uso strumentale della giustizia non fa bene neppure alle toghe, la ricerca della visibilità e dei riflettori non aiuta il servizio della giustizia».
Il premier, Mario Draghi, si è augurato una rapida approvazione della riforma Cartabia...
«Noi abbiamo fatto un primo passo in avanti con la riforma appunto della ministra della Giustizia, Marta Cartabia, ma con i referendum i cittadini potrebbero affermare il principio per cui l’equilibrio tra i poteri è l’unico modo per potere far andare avanti il Paese in maniera civile. Negli anni, grazie alla debolezza della politica, la magistratura ha occupato uno spazio che non le compete. Quando un potere esorbita, rispetto agli altri, dalle proprie competenze e si pone come potere assoluto, provoca dei danni. I giudici non sono lì per criticare le leggi, ma per attuarle. È il Parlamento che fa le leggi ed è il popolo che attraverso il semplice esercizio del voto e della democrazia decide se i suoi rappresentanti hanno bene operato oppure no. Dal 1992, con Mani pulite, si è verificata questa distorsione del servizio della giustizia, con un protagonismo mediatico da parte dei giudici. Le toghe non hanno bisogno del consenso popolare. Sono gli esponenti politici che vengono giudicati dal popolo. Un atteggiamento simile lo ha avuto, del resto, la politica quando si è ritenuta inattaccabile e sovrana su tutto».
Le forze politiche del centrodestra sono compatte sul sì ai referendum.
«Credo che il centrodestra debba innanzitutto ripartire dalle ragioni della propria unità. Da sempre, la coalizione è compatta sulle grandi questioni: giustizia, famiglia, libertà, sussidiarietà. Temi che ci accomunano e sui quali ognuno cerca di portare il proprio contributo. Serve, quindi, riscoprire le ragioni di questa unità e speriamo che i referendum e le prossime elezioni Amministrative ci aiutino a farlo».