Cerca
Cerca
Edicola digitale
+

Il referendum sulla giustizia serve a cancellare il sistema delle correnti

Riccardo Mazzoni
  • a
  • a
  • a

Avviati sulla retta via i delicati dossier su concorrenza e delega fiscaledopo un'estenuante mediazione nella maggioranza, e messo in chiaro che con la recessione alle porte sarebbe catastrofico perdere anche un solo euro dei finanziamenti comunitari, Draghi ieri ha deciso di premere l'acceleratore anche sulla riforma della giustizia. Lo ha fatto nel suo stile algido, senza intervenire a gamba tesa nel dibattito parlamentare, con un messaggio a un convegno sulla giustizia organizzato dall'Università di Padova prendendola larga: «Gli italiani - ha scritto - si aspettano dalla magistratura decisioni giuste e prevedibili, in tempi brevi. Gli stessi magistrati hanno bisogno di una riforma che rafforzi la loro credibilità e terzietà. Questi sono i principi alla base della riforma del governo, che auspico possa essere completata con prontezza». Un auspicio dai toni felpati, dunque, ma leggendo tra le righe si intuisce che il premier è intenzionato a suonare la campanella di fine ricreazione: anche sulla giustizia l'attenzione della Commissione europea è infatti altissima, e tutto quanto ha a che fare con il funzionamento degli uffici giudiziari è stato scritto tenendo conto delle richieste specifiche dell'Ue. Oltre a raggiungere i richiesti obiettivi di efficienza nel civile e nel penale, la riforma avrà ricadute importanti anche sull'economia, con un aumento del Pil nel lungo periodo vicino al due percento.

 

 

Non c'è insomma più tempo da perdere, ma sul percorso simil-virtuoso appena intrapreso con l'accordo su catasto e balneari, che ha fatto intravedere a Draghi «una schiarita all'orizzonte», si staglia però l'ostacolo insidioso del passaggio al Senato della riforma Cartabia, previsto subito dopo l'election day del 12 giugno: dalla maggioranza, infatti, è partita una raffica di emendamenti (60 della Lega e 86 di Italia Viva) che si sommano ai 92 di Fratelli d'Italia, molti concentrati soprattutto sul Csm. Non si tratta in questo caso di emendamenti ostruzionistici, perché il testo uscito dalla Camera è il minimo sindacale per ottenere gli aiuti europei. Contiene alcune cose buone - valutazioni più serie di professionalità, stop alle porte girevoli, argine ai passaggi di funzioni - ma assolutamente insufficienti per risolvere i problemi strutturali della giustizia penale e per superare la deriva correntizia del Csm: le correnti troveranno comunque il modo di spartirsi a tavolino candidati e collegi, con accordi preventivi. L'unico modo per troncare radicalmente il legame tra elettori ed eletti sarebbe il sorteggio, che richiede però una riforma costituzionale. Ma i margini per rimettere mano alla riforma non ci sono, nonostante la possibile convergenza tra Lega e Fdi su alcuni emendamenti cruciali. Il Pd condivide «la nettezza e la direzione delle parole del presidente Draghi», non ha presentato alcuna proposta di modifica e invita quindi il resto della maggioranza a fare altrettanto.

 

 

La convinzione dunque è che la riforma venga approvata così com'è uscita da Montecitorio, soprattutto se i referendum sulla giustizia si rivelassero un flop sia come affluenza popolare che come consistenza dei «sì». Ai vertici del Nazareno - anche se qualche voce garantista negli ultimi giorni si è finalmente levata - fanno affidamento sulla scottatura referendaria di Salvini, peraltro prevista da tutti i sondaggisti, che toglierebbe spazio e argomenti alla Lega per condurre una battaglia all'arma bianca sugli emendamenti al Senato. D'altra parte, in questo Parlamento a trazione grillina è già un miracolo il varo di una riforma che archivia la stagione giacobina di Bonafede.

 

Dai blog