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Mario Draghi vuole fare Giustizia e accelera sulla riforma: "Anche i magistrati hanno bisogno di regole"

Daniele Di Mario

SuperMario non toglie il piede dall'acceleratore. Dopo aver incassato l'accordo in maggioranza su Ddl Concorrenza e concessioni balneari e sulla delega fiscale, il presidente del Consiglio spinge sulla riforma della giustizia. Mario Draghi non parla, naturalmente, dei referendum e si concentra sul prossimo, fondamentale, step del governo: il testo del Guardasigilli Marta Cartabia varato in Cdm e ora all'esame di Palazzo Madama. L'auspicio di chi porta avanti il dossier giustizia è che tutto si tenga, che le intese raggiunte giovedì sul ddl concorrenza e sulla legge delega fiscale possano sbloccare anche la partita del Csm bloccata al Senato dopo il via libera di Montecitorio. Una spinta decisiva, a tal proposito, prova a darla Draghi. «Gli italiani - dice il premier in un messaggio inviato all'università di Padova in occasione di un convegno sulla giustizia - si aspettano dalla magistratura decisioni giuste e prevedibili, in tempi brevi. Gli stessi magistrati hanno bisogno di una riforma che rafforzi la loro credibilità e terzietà. Questi sono i principi alla base della riforma del governo, che auspico possa essere completata con prontezza».

 

  

 

Lunedì si riunirà la conferenza dei capigruppo al Senato che dovrebbe confermare la calendarizzazione della riforma del Csm per il 14 giugno. Le schermaglie ci saranno già in Commissione ma il presidente del Consiglio dopo gli accordi di giovedì vede «una schiarita all'orizzonte» e professa ottimismo sul rispetto delle scadenze sul Pnrr. L'ostacolo, per un governo sostenuto da una maggioranza molto divisa sul tema giustizia, arriva dai 60 emendamenti della Lega e dagli 86 di Italia Viva ma anche dai 92 di Fratelli d'Italia perché i leghisti potrebbero fornire una sponda al partito della Meloni. Lo snodo importante è rappresentato dai referendum. Salvini nei giorni scorsi ha lamentato la mancanza di informazione e per ovviare al problema la Lega ha organizzato manifestazioni, convegni, gazebo, seminari. Il leader del Carroccio ha invitato nell'ultimo Consiglio federale a «metterci la faccia» e il partito lo ha preso alla lettera. Il Lazio, ad esempio, è mobilitato. Giovedì sera il vicepresidente del Senato Roberto Calderoli e il deputato e segretario regionale leghista Claudio Durigon sono stati a Velletri, ai Castelli Romani insieme con l'ex magistrato e capogruppo della Lega in Assemblea Capitolina, il coordinatore provinciale Roma Sud Tony Bruognolo e numerosi dirigenti locali. «Per 33 anni della mia vita ho fatto il medico, il docente, lo sportivo, l'imprenditore, sempre ottenendo grandi risultati ed essendo considerato una persona perbene. Ma da quando sono entrato in politica, sono diventato un delinquente. L'ultimo procedimento che avevo in ballo, calunnia aggravata, è iniziato nel 2013 e si è concluso martedì scorso con la Cassazione che ha annullato la sentenza di condanna in primo e secondo grado. Pensate che vuol dire tutti questi anni trascorsi in un'aula giudiziaria, pagare gli avvocati, finire sui giornali», ha spiegato Calderoli, che ha aggiunto: «Per me giustizia giusta vuol dire tempi certi, magistrati terzi e indipendenti. E quello che dovrebbe essere più rilevante è che il giudice sia preparato. Io ho rispetto del mondo del diritto, ma gli ultimi eventi accaduti, anche in casa mia, mi dicono che c'è qualcosa che non va. Il mio invito è quello di andare a votare e di adottare un elettore per raggiungere il quorum».

 

 

La mobilitazione leghista nel Lazio è proseguita ieri a Latina con Giulia Bongiorno e il sottosegretario al Mef Federico Freni e andrà avanti stamattina a Ostia (presenti ancora Freni e Durigon e il segretario romano Alfredo Becchetti) e a Viterbo, dove a «metterci la faccia» saranno ancora la Matone, il segretario provinciale Stefano Evangelista, i parlamentari della Lega Umberto Fusco Francesca Gerardi, l'eurodeputato Antonio Maria Rinaldi. In totale saranno 80 sono nel Lazio i gazebo per invitare i cittadini a votare 5 sì ai referendum sulla giustizia. Perché a Salvini e al Carroccio la riforma Cartabia non basta.