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Incomprensioni e linee diverse nel centrodestra, adesso fate pace. Ecco cosa divide e unisce i leader

Daniele Di Mario
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Possibile rappresentare la maggioranza reale del Paese, essere accreditati dai sondaggi di percentuali mai viste (49-50%) e nonostante tutto continuare a litigare? Possibile. Soprattutto se si tratta del centrodestra, una coalizione incline al tafazzismo e frantumata a livello parlamentare dalla rielezione di Sergio Mattarella al Quirinale e da tanti successivi incidenti di percorso. Il vertice di martedì scorso ad Arcore - il primo incontro tra Matteo Salvini e Giorgia Meloni dopo 109 giorni di gelo: i rapporti sono rimasti freddi per tutto l’incontro - non è andato bene. Certo, tutti hanno convenuto che alle prossime elezioni politiche si andrà uniti. «Ma questo è il minimo», ha osservato Ignazio La Russa. Così come Forza Italia e Lega hanno escluso il ritorno al proporzionale. E anche i programmi non sono affatto distanti, come dimostra il fronte comune contro le tasse. Ma su altre questioni il centrodestra è in alto mare. In primis la Sicilia. Meloni avrebbe voluto chiudere il vertice con l’ufficializzazione della ricandidatura di Nello Musumeci, il governatore dell’Isola di cui chiede da mesi agli alleati di garantire la riconferma. Ma i leghisti siciliani non sono della stessa opinione. Idem l’ala forzista che fa riferimento a Miccichè. Così il segretario di via Bellerio tentenna, temporeggia, rinvia. «Se ne parlerà dopo le amministrative, ma non devono decidere Roma o Milano, ma i siciliani», ribadisce. Mentre FdI vorrebbe subito l’ufficializzazione della ricandidatura di Musumeci, così da non indebolirlo. Berlusconi martedì aveva assicurato a Meloni e La Russa che, pur non essendoci le condizioni per un annuncio ufficiale, stante la contrarietà di Salvini, il Cav avrebbe comunque letto un comunicato in cui avrebbe espresso il suo personale sostegno a Musumeci. «Ma qualcuno gli ha fatto cambiare idea», spiega La Russa riferendosi alla senatrice azzurra Licia Ronzulli, ritenuta filoleghista. Comunque, quella dichiarazione Berlusconi non l’ha letta, scatenando le ire FdI con una nota accolta «con irritazione» dal Cav.

 

 

Sul tema Musumeci torna Antonio Tajani, dribblando la questione. «Manca ancora molto tempo al voto. Bisogna scegliere un candidato vincente, vediamo i sondaggi. Non ci sono preclusioni ma c’è tempo per decidere», dice i vicepresidente e coordinatore nazionale di FI. Insomma, tutto fermo. Nel frattempo Salvini convoca per lunedì il consiglio federale a Milano. In via Bellerio si parlerà di referendum sulla giustizia, elezioni amministrative, situazione politica. Poi il segretario andrà a Genova al Grand Hotel Savoia per una nuova tappa dell’iniziativa «È l’Italia che vogliamo». «Prosegue il viaggio d’ascolto per l’Italia di Matteo Salvini con il focus sulle infrastrutture», spiega una nota del partito.

 

 

Nel frattempo il centrodestra resta nel limbo. Troppo forte per perdere un’occasione unica per andare al governo, ancora troppo diviso per essere coalizione. In FI le fibrillazioni tra governisti e filosovranisti sono ormai all’ordine del giorno. Lo scontro Ronzulli-Gelmini in Lombardia, poi, ha superato da tempo i livelli di guardia. In casa Lega, anche Salvini deve fare i conti con la sua ala governista che coincide anche con lo zoccolo duro nordista del partito, guidato dal ministro Giancarlo Giorgetti. Poi c’è FdI, unito in modo granitico attorno a Giorgia Meloni, ma diviso dagli alleati con cui le divisioni restano. Tanto che nel vertice di Arcore Meloni ha messo i puntini sulle «i» tornando a chiedere patto anti-inciucio, regole chiare su collegi, coalizione, scelta dei candidati. «Uniti si vince» è il mantra di Lega e FI. Uniti sì ma non a ogni costo, replica FdI non disposto a quelli che vengono considerati compromessi al ribasso. E pensare che il centrodestra diviso e litigioso è già al 50% e gli italiani non vedono l’ora di mandarlo al governo.

 

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