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Il no di Giuseppe Conte al termovalorizzatore lo pone fuori dall'Europa

Riccardo Mazzoni
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C’è una pervicace coerenza ideologica nel luddismo ambientalista dei Cinque Stelle, fautori da sempre di una gestione tutta ideologica dei rifiuti – no discariche, no termovalorizzatori – che con la giunta grillina ha portato la Capitale al disastro. Una politica che all’epoca dei governi Conte ha trovato una costante sponda nazionale, con l’ex ministro Costa convinto che non è ideologia avversare i termovalorizzatori, ma l’esatto contrario: una posizione in aperto contrasto con quanto accade in Europa, dove la termocombustione è uno dei sistemi usati con più frequenza nei Paesi che dispongono di una gestione dei rifiuti avanzata. Termocombustione e riciclaggio sono due facce della stessa medaglia, con l’uso delle discariche ridotto al minimo, come dimostra l’esempio virtuoso di Copenaghen, che ha visto sorgere nel cuore della città un impianto all’avanguardia, sicuro sia sul piano ambientale che sanitario. Ma uno dei tratti costitutivi del Movimento è aggrapparsi alle utopie per negare la realtà, e nonostante il fallimento del programma Raggi, che prometteva di portare la raccolta differenziata al 70% in quattro anni, ora che il sindaco Gualtieri ha pragmaticamente annunciato il progetto di un impianto per produrre energia dai rifiuti attraverso l’incenerimento di 600mila tonnellate all’anno, i Cinque Stelle si sono pavlovianamente arroccati nel fortilizio panambientalista.

Conte, impegnato com’è a proporsi come il custode delle sacre pulsioni originarie nel tentativo di recuperare consensi, si è ovviamente intestato la battaglia contro il termovalorizzatore di Roma con uno slogan ad effetto apparso sul sito ufficiale del Movimento: «No agli inceneritori, sì alle nuove tecnologie alternative ed ecosostenibili». E poi: «Siamo stati gli unici in Consiglio dei Ministri a batterci per costruire, da qui in avanti, impianti non più obsoleti e inquinanti, ma compatibili con la tassonomia verde europea».

Dunque: no al termovalorizzatore di Roma perché sarebbe in contrasto con gli orientamenti comunitari. Peccato che il Regolamento europeo 2020/852, ossia il testo-base della tassonomia verde, non escluda affatto il ricorso agli inceneritori. Infatti l’articolo 13, dal titolo «Contributo sostanziale alla transizione verso un’economia circolare», dopo una serie di indicazioni sull’utilizzo più efficiente delle risorse, sulla riduzione dell’impiego di prodotti e materiali non riciclabili e sul riciclaggio di alta qualità dei rifiuti, dice testualmente al punto «j»: «... riduce al minimo l’incenerimento dei rifiuti ed evita lo smaltimento dei rifiuti, compresa la messa in discarica, conformemente ai principi della gerarchia dei rifiuti».

 

 

 

 

Le linee guida del Regolamento propendono dunque per l’allungamento della durata dei materiali e della riciclabilità dei prodotti, oltre che per un maggior utilizzo di combustibili solidi secondari, e la tassonomia europea non mette affatto al bando i termovalorizzatori, considerandoli anzi gli strumenti migliori per l’utilizzo delle frazioni di rifiuto non recuperabili. Anche perché i residui di recupero e riciclaggio vanno smaltiti in qualche modo, e non certo con le ipotetiche «tecnologie alternative» di cui parla Conte. Da anni le istituzioni comunitarie hanno stabilito una serie di priorità nella gestione dei rifiuti, e incenerimento e smaltimento in discarica sono in fondo alla lista, dopo la prevenzione e il riutilizzo. Ma nel rispetto di questa gerarchia nessuna norma europea proibisce i termovalorizzatori, che anzi svolgono un ruolo cruciale nella transizione verso l’economia circolare e servono per un’equilibrata gestione dei rifiuti ovunque in Europa. Ora vedremo come lo slogan senza fondamento di Conte verrà tradotto nell’emendamento annunciato dai grillini al decreto Aiuti: sarò l’ennesima arrampicata sugli specchi.
 

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