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M5s, i Cinque Stelle devono decidere. Non possono essere di lotta e di governo

Mario Benedetto
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Quella della politica è la tribù che, oggi più che mai, dovrebbe dare prova di una qualità in via di estinzione: la responsabilità. Tratto distintivo di ogni forma di evoluzione: individuale e, per l'appunto, collettiva. Difficile con un esecutivo di questo tipo, riunito sotto la guida di un leader si riconosciuto, ma alle prese con crisi globali che andranno a riempire pagine dei libri di storia. E crisi autoctone che, invece, speriamo tanto in questi libri non finiscano mai. Perché se molte sono prevedibili e fanno parte del «gioco», tante altre ce le potremmo davvero risparmiare.

Tra tutti, a tenere banco c'è il caso di un Movimento 5 Stelle- che inizierei a chiamare partito, superando ogni ipocrisia lessicale - alla ricerca di un'identità. O meglio alle prese con una lotta di sopravvivenza che finisce oggi per renderlo un protagonista politico di lotta e di governo. Ruolo di cui, di questi tempi, non c'è proprio bisogno.

Due le questioni che complicano il dialogo e l'appartenenza all'esecutivo che speriamo, proprio per un moto di responsabilità, questa compagine non metta in discussione. Poi, pensandoci bene, c'è lo spettro di un futuro incerto, non solo politicamente ma anche professionalmente, a far giungere tutti a più miti consigli.

Dicevamo, i principali punti dirimenti sono due: invio delle armi al popolo ucraino e ambiente. Legittima ogni posizione, ma occorre tener conto dello scenario di queste ore che vede l'Ue tagliare le stime di crescita, con l'Italia che rischia di vedere contratto di un punto e mezzo di Pil rispetto al 4.1% previsto a febbraio. Con gli strascichi della pandemia e il teatro di guerra alle porte dell'Europa a fare da sfondo, ciò di cui non abbiamo proprio nessun bisogno è l'instabilità. Tantomeno su questioni su cui le divisioni sono poco comprensibili se non per ragioni «ideologiche», il che è un'aggravante, come nel caso delle questioni ambientali, che vedono attualmente un grande faro acceso sulla capitale. Fanno specie (o forse no?) dichiarazioni di un ex sindaco che invita a non votare fiducia a un Dl aiuti che preveda l'autorizzazione del termovalorizzatore. Ma perché? E soprattutto con quali alternative?

Sarebbe bello avere risposte, anche semplici e sintetiche. La questione così da Roma arriva ad assumere dimensione nazionale: è l'emblema delle difficoltà di una politica (energetica) che deve guardare a interessi superiori. Dovrebbe essere di monito la sparizione di candidati Cinque stelle per le amministrative: su 26 capoluoghi solo in 13 compare il simbolo M5S, nessun candidato sindaco. Dovrebbe essere, poi, la prova che perdere di vista una visione d'insieme delle vicende collettive a favore di una «tribale» finisca per sfavorire l'interesse generale ma, paradossalmente, anche il proprio. Basato su un consenso che, monito valido per tutti, resiste nel lungo solo smette di fondarsi sulle promesse per passare proprio a quello che, poche righe fa, invocavamo: le tanto attese, ma sempre più rarefatte, risposte.

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